Recensione in anteprima – Venezia 75 – In concorso – Alfonso Cuaròn torna alla Mostra internazionale del cinema di Venezia con il suo film “Roma”. Un film in bianco e nero contemporaneo che porta a galla i ricordi e la memoria dello stesso regista che è anche sceneggiatore, montatore e direttore della fotografia. Nelle sale italiane in un numero ristretto di copie, verrà distribuito da Netflix sulla sua piattaforma streaming.
Cleo (Yalitza Aparicio) è una giovane collaboratrice domestica di una famiglia della classe media che vive nel quartiere di Roma a Città del Messico. Cuarón attinge alla propria infanzia per creare un vivido ed emozionante ritratto di conflitto domestico e gerarchia sociale nel pieno delle turbolenze politiche degli anni ’70.
La memoria di Cleo
Cleo, nella realtà, è il nome della donna di servizio che aveva Cuaròn durante la sua infanzia. Cleo è interpretata da Yalitza Aparicio che non è un’attrice che ha studiato ma è stata scelta dal regista per recitare questa sua memoria.
Con il suo fare ingenuo e aperto alla vita quotidiana dei lavori domestici, Cleo rappresenta un collante e un punto di riferimento per i quattro bambini della famiglia. Siamo alla fine del 1970 e la ragazza vive, in misura un po’ minore, le dinamiche della sua giovane età. Una giovane donna che, con responsabilità lavora, diventa anche una sorta di tata per i bambini e trova il tempo di innamorarsi, per la prima volta.
“Roma” ruota tutto intorno a Cleo ma non ha mai uno sguardo giudice delle vicende che succedono. Cleo rimarrà marginalmente coinvolta anche negli scontri del “Corpus Christis day” dove dei militari hanno ucciso degli studenti a Città del Messico in manifestazioni di protesta. Il regista non lascia mai Cleo ma non abbiamo solo il suo punto di vista.
Il bianco e nero come memoria
Durante la conferenza stampa di Venezia 75, Alfonso Cuaròn ha spiegato anche la scelta del bianco e nero. Un bianco e nero, che ha tenuto a precisare, è moderno, con illuminazione e utilizzo aggiornato ai giorni nostri e non un semplice non utilizzo dei colori.
Il regista che qui è anche sceneggiatore, montatore e direttore della fotografia (sublime) ha usato il bianco e nero perché quella scelta gli dava modo di arrivare al suo principale obiettivo: la memoria. Il film, sempre secondo il regista, deve essere memoria di quei momenti e questa scelta cromatica permette di distanziarsene con obiettività e una certa distanza temporale.
In effetti questa scelta, molto singolare ed elegante riesce nel suo intento e raggiunge pienamente l’obiettivo, non facile, di catapultarci con la giusta distanza in quegli anni e vivere immersi tra le mura domestiche di questa famiglia, normale, ben agiata e attraversata da vita quotidiana e da fatti straordinari.
La memoria di Cuaròn
Il Cuaròn regista è ben attento a ricreare memoria anche grazie all’uso delle telecamere. Non ci sono “piani-sequenza” infiniti ma l’uso viene calibrato. Con sempre la giusta distanza dalla memoria e dagli eventi, Cuaròn lascia che la telecamera non si intrometta mai nella scena. Vari sono i momenti in cui la ripresa abbandona il personaggio che esce dall’inquadratura e continua a descrivere ciò che accade.
In altri momenti la memoria si fa dramma, azione, pericolo, lì la telecamera segue il personaggio e ne rispetta i tempi, anche dilatati, di certe azioni. Sono, per il regista, tempi reali d’azione, dal tempo per andare in bagno al tempo di lavaggio del pavimento come descritto nella prima scena.
L’interpretazione di tutto il cast è eccezionale, soprattutto le due attrici non professioniste Marina De Tavira (Sofia) e la protagonista Yalitza Aparicio (Cleo). Da citare anche il cast dei bambini.
“Roma”, per oltre due ore ci immerge nei ricordi d’infanzia di Cuaròn che dedica a Cleo e alla sua vita messicana di quegli anni un grandissimo e riuscitissimo tributo. Anche producendo il film, il regista ha potuto ricreare il 70% circa di mobili, ambienti e oggetti presenti nella sua vita reale del tempo.
La ricorrenza dei numeri “1”
Chi guarda “Roma” non può non notare, magari ad una successiva visione rispetto alla prima, una ricorrenza un po’ simbolica, un po’ fortuita del numero “1” in molte scene. La vicenda, che parte nel 1970, sfocia ben presto nel 1971. La casa dei protagonisti è al numero 21. Una delle auto ha targa con numeri “11”. Uno dei cani di famiglia, viene detto in una scena, muore nel 1911.
Questo ripetersi, posso ipotizzare, può essere dovuto al rimarcare, simbolicamente che, al mondo, si è unici, con una storia unica da raccontare e, forse, come nel film, con una storia di apparente solitudine. Un interessante enigma che, a pensarci bene poteva essere chiesto durante la conferenza stampa ad Alfonso Cuaròn. Ci promettiamo di farla in una prossima occasione.
Voto: 7,7