Recensione – Chiaro esempio di come il sottotitolo italiano possa creare il disastro perfetto, il film però ne è la sintesi critica: il film infatti non è come sembra, delude in più punti per un ritorno di Will Smith di poco sopra i livelli di After Earth.
Nicky Spurgeon (Will Smith) è il migliore, il più scaltro, un manipolatore senza eguali. Cresciuto da una famiglia di borseggiatori, ha messo in piedi un’azienda in grado di architettare i colpi più audaci. Jess (Margot Robbie), la bionda che gli è capitata al tavolo una sera a cena, vuole entrare a farne parte. Nicky la testa a New Orleans, e se ne innamora. Ma lei non serve più e la lascia per strada. Tre anni dopo, sul circuito di Formula Uno di Buenos Aires, mentre si appresta a giocare duro, Nicky ritrova Jess. Cosa ci fa lei lì? E lui, per chi o cosa si è mosso in realtà?
Dopo After Earth sarebbe stato difficile per Will Smith fare peggio. Tranquillizziamo tutti dicendo che in realtà il film, infatti, non è peggiore. Non è neanche un’interpretazione da ricordare né, tantomeno, un film da annoverare tra i migliori dell’attore che ha quasi sempre dato prova di saper recitare e “La ricerca della felicità” è lì a dimostrarlo, giusto per citare il primo film che mi è venuto in mente.
Il film non gira, o meglio lo fa a strattoni, come fosse una di quelle fuoriserie che ha dei problemi al motore, con 4 pistoni funzionanti su 6, 5 su 8, fate voi, manca un po’ tutto, si gira a vuoto, si capisce la truffa, si capisce il raggiro, complice anche quel sottotitolo italiano che, se da una parte serve al marketing per rendere più appetibile l’anonimo “focus” (come se gli italiani scelgano il film da vedere solo dal titolo, mah), dall’altra è deleterio perché svela il gioco al quale si assiste per tutto il film. Fossi nei registi e nei produttori del film chiederei i danni ai distributori italiani o chi ha la responsabilità di questa scellerata scelta che, se non si avvicina allo spoilerone di “Ritorno a Cold Mountain”, poco ci manca.
Glenn Ficarra e John Requa, i due registi, confezionano un film patinato, glamour, ricco di scintillanti luci e che ben si destreggia tra il lusso, le macchine sportive, i cocktail parties in atmosfere da sogno e le giornate di ricco ozio in piscina ma non è, appunto, come sembra. Tutto questo maschera e vuol far distrarre lo spettatore, ma non si capisce quanto questo straniamento sia voluto dalla sceneggiatura e dai registi perché risulta sempre fine a sé stesso, povero di alternative e ripetuto a tal punto che lo spettatore medio si può far distrarre dai pettorali in bella mostra di Smith e dall’avvenenza di Robbie (bellissima n.d.r.) una, due, forse anche tre volte, dalla quarta inizia a distrarsi guardando l’orologio e si accorge che i 100 minuti circa di film appaiono come fossero 200.
Ispirato neanche tanto velatamente a film ben più riusciti come “Ocean’s eleven” (c’è persino la battuta leggermente modificata “ci vediamo quando ci vediamo”), “Now you see me”, “The illusionist”, “Mr & Mrs Smith” (un caso?ah gli scherzi del destino), e a una moltitudine di altri film dello stesso genere nonché alla serie televisiva britannica “Hustle – i signori della truffa” (si ruba solo ai ricchi, siamo gentiluomini), il film si preoccupa costantemente di sorprendere lo spettatore ma ci riesce solo in poche occasioni, in poche scene, due da ricordare essenzialmente: i due protagonisti al superbowl, una scena che ha un bel po’ di tensione sia emotiva molto ben realizzata a livello recitativo e registico, e l’iniziazione di Jess alla pratica del furto tra le bancarelle di New Orleans. Due scene della prima parte del film non a caso, infatti è la parte migliore del film che si risolleva nel finale, telefonato e prevedibile nonostante la sceneggiatura ce la metta tutta per non esserlo. Nel mezzo scene continue di approfondimento del rapporto tra Nicky e Jess, con una pochezza di dialoghi disarmante e noiosa che contribuisce a dare allo spettatore l’idea che non c’è alchimia tra i due protagonisti… qualche sprazzo di buona sceneggiatura la troviamo nel personaggio di Farhad, Adrian Martinez, che diverte il pubblico con il suo modo di fare e di presentarsi, unica scelta azzeccata di caratterizzazione del personaggio.
Se la recitazione di Smith sembra in gabbia, quella di Margot Robbie non può andare oltre a una sceneggiatura che punta più al suo essere femme fatale e qui la differenza abissale con “The wolf of Wall Street” si manifesta perché ingaggiata in quel film per lo stesso motivo, lì la distrazione era funzionale ad una sceneggiatura di ben altro rango ed efficacia.
Un film che ha pochissimi spunti e motivi per essere visto, pecca in molti aspetti, si salva in poche occasioni, alla fine si ha il triste pensiero che, forse, la vera truffa messa a segno da Nicky e soci in realtà è stata convincere l’ignaro spettatore ad aver pagato il biglietto.
Voto: 4,5