Recensione in anteprima – Nono film scritto e diretto da Quentin Tarantino. Un nostalgico e tenero racconto d’amore per il cinema del regista che naviga tra fiction e realtà. Attraverso due attori come Brad Pitt e Leonardo DiCaprio che si calano perfettamente nella parte, il film immerge lo spettatore nel divismo e nella Hollywood di fine anni sessanta. Un dipinto semi-romantico e ingenuo tra spaghetti western e attori di serie B. Al cinema dal 18 settembre.
Il cinema (d’altri tempi) secondo Tarantino
Los Angeles, 1969. Sharon Tate (Margot Robbie), promettente attrice americana e sposa di Roman Polanski, è la nuova vicina di Rick Dalton (Leonardo DiCaprio), star della televisione in declino. Dalton condivide la scena con Cliff Booth (Brad Pitt), stuntman che si è fatto (e rotto) le ossa nei western girati a Spahn Ranch.
Controfigura e chauffeur di Dalton, Cliff vive in una roulotte con una cane disciplinato e fedele proprio come lui che da anni ammortizza le cadute e i rovesci dell’amico. E l’ultimo scacco costringe Rick e il suo doppio a traslocare dall’altra parte dell’oceano per girare un pugno di spaghetti-western. Sei mesi e una moglie (italiana) dopo, Rick e Cliff tornano a Los Angeles dove li attende la notte più calda del 1969.
Sin dalla prima scena Quentin Tarantino ci presenta il cinema nel cinema. Anche se, nel caso specifico si tratta di una serie tv quindi già viene proposta la dicotomia tra sogni (cinema) e realtà (tv di grande popolarità ma poca qualità) degli attori.
Viaggiando (quasi) sempre in coppia con Cliff, Rick sperimenta la depressione dell’attore in declino ma comunque fortemente richiesto rispetto a Cliff che appare sicuro, statutario (vedasi scena della maglietta) ma con poche speranze lavorative.
Due ore di fiction
Per circa due ore Quentin Tarantino è molto bravo a raccontare la vita lavorativa di Rick, quella (poco) lavorativa di Cliff alternandoli e corredandoli delle vicende degli altri personaggi con infiltrazioni storiche reinventando i fatti accaduti.
Si tratta di un susseguirsi di scene che entrano ed escono dal set, che indagano nell’insicurezza di Rick, nel passato poco limpido di Cliff, nel tenore di vita hollywoodiano rappresentato dalla bellezza magnetica di Sharon (Margot Robbie).
Tra riprese, interviste, incontri con Steve McQueen, Bruce Lee, e tutta una serie di personaggi del mondo cinematografico il film si compone di spezzoni delle serie tv di Rick. Adorabile la scena con la bambina attrice di 8 anni.
Non ci sono sconti in questa fase del racconto. Si tratta di narrazione a volte scollegata ma sempre molto curata nei dettagli e nelle inquadrature. E’ inoltre presente l’elemento feticista per eccellenza del regista Tarantino in almeno un paio di scene.
40 minuti di pulp
Tutto l’amore del regista per il cinema della sua infanzia e per il periodo Hollywoodiano che preferisce (ma anche televisivo pensando alla sua predilezione per la serie classica di Star Trek di quegli anni) è riversata nelle due ore di fiction di cui scrivevamo sopra.
Gli ultimi 40 minuti si fanno molto “pulp” con uno schizzo di splatter. E’ il Tarantino della vendetta, della giustizia privata e violenta che risolve le situazioni intricate in un susseguirsi di ipnotiche e sensazionali scene d’azione e di lotta.
All’interno di una singola stanza (o poco più) si innestano una serie di dinamiche e capovolgimenti di fronte che impreziosiscono il film in maniera concreta completando un quadro forse frammentato ma per questo pieno di tutte le contraddizioni della Hollywood passata e presente.
Un film ricco di cinema, intimo per il regista, forse un po’ troppo personale che, per certi versi si ritrova solo in parte nel classico stile Tarantiniano.
Voto: 7,4