Recensione – Il settimo capitolo del fortunato franchise Universal va oltre ogni immaginazione per quanto riguarda azione e adrenalina. Iperbolico, fracassone, rombante, furioso come non mai ma anche riscritto e reinventato per onorare la memoria di un attore, un protagonista, un membro di quella famiglia.
In Fast & Furious 7, il gruppo di Dominic Toretto dovrà affrontare Ian Shaw, il fratello di Owen in cerca di vendetta. Dopo gli eventi di Londra, Han viene assassinato a Tokyo da Deckard Shaw (come abbiamo appreso dall’ultima scena del sesto capitolo). Shaw vuole vendicare la morte del fratello e inizia a dare la caccia alla “famiglia” di Dom Toretto. Le vite di quest’ultimo e tutti gli altri, Roman, Tej, Letty, Brian e Mia, sono in pericolo. Anche l’agente Hobbs è sotto tiro, ma un ufficiale governativo che opera nell’ombra è pronto a fornire a Dom e al suo team strumenti e risorse necessari per eliminare Shaw. Per arrivare a questo devono prima liberare un misterioso hacker, rapito da un gruppo di terroristi, che ha creato un congegno capace di localizzare qualunque individuo in tempo reale sull’intero pianeta.
“Fast and Furious 7” è la dimostrazione che la scelta degli attori e della caratterizzazione e interpretazione degli stessi è di vitale importanza per una saga. Lo sanno bene in Universal Pictures quando il franchise ha rischiato di chiudere proprio in coincidenza di film che non vedevano protagonisti Vin Diesel e Paul Walker. La morte prematura di quest’ultimo ha gettato il cast in un dolore profondo ma sceneggiatori, attori e regista non si son piegati alla regola della parallela morte cinematografica, hanno così ingaggiato i somiglianti fratelli di Paul Walker e sono ricorsi alla computer grafica per completare le scene che Paul non aveva fatto in tempo a girare. Il risultato alcune volte è evidentemente “alterato” ma è perdonabile viste le circostanze e non disturba la visione.
Questo settimo capitolo eleva esponenzialmente il tasso di azione, di distruzione di auto, di improbabili inseguimenti ma lo fa coscientemente. Il regista James Wan dimostra saper spingere all’eccesso tutto ciò che ha in mano. Questo tutto è dichiaratamente fantasioso, impossibile, incredibile, talmente iperbolico, esagerato, cafone, da apparire genuino e sincero nel non voler ingannare lo spettatore ma dedicato solo a farlo entrare nella dinamica degli eventi fuori dalla norma, furiosi per dirla come da titolo originario.
E’ la furia che la fa da padrona per buona parte del film, una vendetta, una caccia all’uomo con auto, vestiti, palazzi talmente lussuosi, ricercati, esclusivi da evidenziare un mondo falso e d’apparenza che stride con la realtà invece del gruppo di amici che abbiamo conosciuto attraverso i precedenti film. Non c’è infatti molto da aggiungere ai personaggi, li abbiamo visti crescere, li abbiamo visti innamorarsi, perdersi, offendersi, picchiarsi, tradirsi, sbeffeggiarsi, riappacificarsi, ora sono una famiglia vera e propria che viaggia compatta verso un unico obiettivo e non lascia mai indietro nessuno se non per colpa della morte cinematografica o, purtroppo vera che sia.
“Non si può tenere una bestia in gabbia” dice Dom Toretto, ed è una buona sintesi di quanto sceneggiatura, fotografia, effetti speciali e regia sono al servizio di questa bestia. Incasellare in una sceneggiatura perfetta un film del genere sarebbe stato come ingabbiare la belva. Wan invece lascia che gli effetti speciali spazino tra la fotografia di paesaggi da sogno e i movimenti di macchina sempre molto dinamici con la sola regola dello stupire sempre e comunque lo spettatore anche quando lo spettatore si aspetta qualcosa di impossibile. Questa è la forza del film ed è così efficace da scaturire applausi spontanei del pubblico meno “cinematografico” ma più popolare alla fine delle scene più illogiche e contrarie alla fisica con un’espressione alla “WTF” (“ma che cav…”).
L’ultima parte del film è un atterraggio verso il doveroso e più che prevedibile saluto a Paul Walker. Un addio che “non è mai un addio” e che appare privo di stucchevole sentimentalismo. E’ un saluto sincero, scaturisce dal cuore di tutto il cast e si vede. E’ raccordato benissimo con tutta l’intera saga, commuove quanto basta e non è né ruffiano né ricattatorio. Un caldo abbraccio tra amici che partono con le proprie auto per strade diverse. A Paul.
Voto: 7,1
Nonostante la completa irrealtà della vicenda me li sono visti tutti, guardacaso saltando il terzo per l’assenza di Walker e Diesel. Quindi sicuramente lo ripescheró quest’estate al mare dove c’è ancora un videonoleggio. Se ami le macchine veloci e smargisse non puoi non vederlo. Quindi dovrò recuperare anche NFS.
Non mi ha mai stuzzicato. Non vedrò il film neppure in tv, quando lo daranno. E’ proprio il genere che non mi appassiona. Ho visto un film credo simile a questi, quello con Nicolas Cage che faceva, mi pare, il ladro d’auto, e non mi piacque per nulla.
Fuori in 60 secondi, fra le tante remake di un altro film del 74. Per me un must. Uno dei film in cui Coppola mi è piaciuto di più. Sarò che amo le muscle car e appena ne vedo una sbavo come un carlino con il raffreddore. Beh almeno in fuori in 60 secondi c’è una specie di trama di fondo che non era male.