Recensione – CineSport – La storia di un’impresa sportiva, di una famiglia da ricostruire e di una coppia di giovani sposi che rappresentano la leggerezza che solo il calcio può regalare: parliamo de “Il Miracolo di Berna”, film tedesco del 2003 diretto da Sönke Wortmann.


Germania, 1954

Matthias Lubanski (Louis Klamroth) è un ragazzo di poco più di dieci anni che è cresciuto con la madre Christa (Johanna Gastdorf) e la sorella Ingrid (Birthe Wolter), le quali si occupano del proprio bar di famiglia, e il fratello Bruno (Mirko Lang), che vorrebbe diventare un musicista.

Siamo nel 1954 e nella Germania Ovest del dopoguerra è difficile poter sperare in un futuro florido, con un territorio ancora distrutto e la popolazione divisa, impaurita, annientata nella propria identità dal nazismo.

Il capofamiglia è ancora costretto nella prigionia in Russia e, nonostante l’impegno di Christa, Matthias sente la necessità di una figura che lo guidi: l’ha trovata in Helmut Rahn (Sacha Göpel), calciatore professionista del Rot-Weiss Essen e della Nazionale tedesca che sta preparando il Campionato del Mondo in Svizzera, la prima competizione che vedrà tornare la Germania sulla scena internazionale. Matthias è di fatto la mascotte di Helmut, il quale, con rammarico, gli comunica che non potrà portarlo con sé nella spedizione mondiale.

Nel frattempo, però, torna a casa Richard (Peter Lohmeyer), il padre del ragazzo il quale, come molti reduci di guerra, è sconvolto nell’animo e non riesce ad ambientarsi a casa, instaurando un difficile rapporto coi tre figli e soprattutto col più piccolo, che di fatto non ha mai visto. Intanto, al seguito della squadra tedesca partono anche il giovane giornalista Paul Hackermann (Lucas Gregorowitz) e la moglie Annette (Katharina Wackernagel), pronti a vivere un’esperienza irripetibile e che rafforzerà ancora di più il loro rapporto.

L’impresa che rilanciò un popolo

Scritto da Sönke Wortmann e Rochus Hahn, Il Miracolo di Berna (titolo originale: Das Wunder von Bern) è un film molto interessante, che mantiene una propria linearità narrativa per tutta la durata. Infatti è da apprezzare la scelta fatta in fase di scrittura, ovvero seguire tre storie parallele che abbiano poi culmine nell’evento storico e sportivo del 4 Luglio 1954 al Wankdorfstadion di Berna.

L’aspetto più drammatico è certamente quello del ritorno, dopo 12 anni di assenza, di Richard, che è totalmente cambiato. Violento, permaloso, intransigente, così come lo hanno ridotto la Germania nazionalsocialista e l’esperienza tragica di una guerra abominevole. Tanto da sentirsi un estraneo in famiglia e prendersela coi figli e la moglie.

Un racconto quanto mai reale della situazione che vissero molti di coloro che riuscirono a tornare a casa dopo il conflitto e in moltissimi casi addirittura la prigionia, in un territorio straniero e in condizioni disumane. Il piccolo Matthias, che come tutta la nuova generazione tedesca doveva crescere in un Paese dilaniato profondamente e diviso in Ovest e Est, trova però nel calcio lo svago, la passione con la quale “fuggire” da un quotidiano grigio.


E l’amicizia con Helmut Rahn è quanto mai sincera e vera. Quest’ultimo non immaginava di certo che sarebbe divenuto il simbolo di una Nazione, con la doppietta nella finale contro l’Ungheria, soprattutto dopo un inizio di Mondiale non da protagonista (relegato in panchina dal tecnico Herberger, che però confidava totalmente nel ragazzo e attendeva solo il momento migliore per impiegarlo) e con la squadra tedesca che aveva perduto nettamente proprio contro i favoriti magiari, trovandosi costretta a risalire.

E così farà, fino all’atto conclusivo, dove andrà sotto 2-0 nel punteggio nei primi 10′, prima di una rimonta che diverrà leggenda, con la doppietta decisiva di Rahn. Le strade di Matthias e Helmut torneranno ad incrociarsi, proprio nell’attimo più importante per entrambi.

Non c’è molta retorica, ma un senso di patriottismo nel film. Ed è quasi inevitabile, ma non inficia la qualità dell’opera. Per la verità non vi sono neanche dei riferimenti all’argomento doping, cosa di cui è stata accusata in diverse circostanze quella squadra del Mondiale 1954 e in generale la Nazionale tedesca dal dopoguerra e per diversi anni. La FIFA non ha mai aperto un’inchiesta su questo e non vi sono fino ad ora prove evidenti.

Una nuova speranza

Sarebbe comunque stato fuori luogo. Quello che resta è certamente l’impresa sul campo, che ha rappresentato una redenzione per un popolo spaccato e sotto accusa, che si rendeva conto poco alla volta di essere stato protagonista del disastro peggiore della storia dell’umanità e voleva ripartire, finalmente, dopo decenni di profondo oblio e di vergogna incancellabile. E ha rappresentato anche un’occasione di speranza per tante famiglie – come quella di Matthias, Richard, Christa, Ingrid e Bruno – che in quella vittoria al Mondiale hanno intravisto la possibilità di un futuro, dove la coesione, i valori della fratellanza e della libertà, di cui lo sport è riferimento, avrebbero aperto la strada da intraprendere.

Voto: 6.5

Di Giuseppe Causarano

Giornalista cinematografico presso diversi siti e testate italiane, mi dedico da sempre alle mie più grandi passioni, il Cinema e la Musica (in particolare le colonne sonore), che rappresentano i miei punti di riferimento personali. Tra i miei interessi anche i principali eventi internazionali dell'attualità, dello spettacolo, dello sport (soprattutto motori, calcio e ciclismo) e della cultura in generale.

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