Recensione in anteprima – Il ritorno di Matteo Garrone al cinema è un ritorno anche al Festival di Cannes. Un film che tratteggia la periferia italiana povera ed emarginata senza cadere nelle solite dinamiche. La bellissima fotografia, le magistrali interpretazioni di Marcello Fonte e Edoardo Pesce, una regia impeccabile rendono “Dogman” un film intenso e disturbante. Film da non perdere. Al cinema dal 17 maggio.

Marcello (Marcello Fonte) ha due grandi amori: la figlia Alida (Alida Baldari Calabria), e i cani che accudisce con la dolcezza di uomo mite e gentile. Il suo negozio di toelettatura, Dogman, è incastrato fra un “compro oro” e la sala biliardo-videoteca di un quartiere periferico a bordo del mare, di quelli che esibiscono più apertamente il degrado italiano degli ultimi decenni. L’uomo-simbolo di quel degrado è un bullo locale, l’ex pugile Simone (Edoardo Pesce), che intimidisce, taglieggia e umilia i negozianti del quartiere. Con Marcello, Simone ha un rapporto simbiotico come quello dello squalo con il pesce pilota.

Cani affamati

“Dogman” inizia con l’abbaiare rabbioso di un cane. Un ringhio prolungato e di protesta alle amabili cure di Marcello. A Marcello piace il suo lavoro ma non è certamente contento della sua vita. Il piccolo negozio che si è creato con le fatiche di una vita non può permettergli un’esistenza agiata. Marcello è come uno dei cani che accudisce e lava: al guinzaglio. Ben voluto da sua figlia, accettato dal quartiere e dai colleghi negozianti, l’uomo da chiamare per completare la squadra a calcetto: Marcello è tutto questo.

Ma il nostro “Dogman” è anche affamato di vita. Nonostante abiti in un appartamento fatiscente e lavori in una zona lasciata all’abbandono strutturale della riviera romana, Marcello sogna una vacanza con la figlia. Le sue immersioni in mare con Alida sono la felice, rassicurante e calorosa evasione alla quale Marcello guarda.

Matteo Garrone, il regista, dimostra di muoversi bene nei sentimenti del protagonista e nell’indifferenza sistematica e rassegnata di un un ambiente di periferia come ce ne sono tanti nelle grandi città italiane. Prendendo solo spunto da un fatto di cronaca vera, il regista campano non cade nell’errore di ripresentare dinamiche e situazioni che ha già portato al cinema e in tv. 

Cani da guardia

Attorno a Marcello ci sono i vicini di negozio. Nessuno è amico ma tutti costituiscono una sorta di branco. Tanti cani, ognuno come fosse una razza a parte. Cani che si armano di passione, lavoro, fatica per portare a casa, ognuno, il proprio pane quotidiano. Fanno squadra nel gioco del calcio ma non sono un gruppo. Fanno la guardia ai propri averi, al proprio lavoro, alla propria esistenza. Abbaiano tutti (o quasi) ma non mordono. Scodinzolano per gioco, mangiano insieme, legati allo stesso guinzaglio: il lavoro quotidiano.

Non ha cani da guardia Simone, l’ex pugile. Il suo abuso di droga, arroganza, violenza fisica è un mix che non lascia scampo a nessuno. Simone è il classico cane sciolto egocentrico che marca il territorio e che non ammette ci siano regole che limitino la sua libertà di fare ciò che vuole e di prendersi ciò che desidera.

Soli come cani

Di questi tempi pensare a un film con titolo “Dogman”  fa quasi subito pensare a un film su un supereroe. Ma se Marcello fosse da considerare come tale, sarebbe il classico sconfitto dalla vita che ha l’occasione di crescere e di attuare la sua personale rivincita. L’evolversi della vicenda non è così banale. La vita vera italiana permea la condizione di vita di Marcello e ce ne dona una fotografia reale.

Marcello è solo, con e come un cane. Ma anche Simone lo è. Non esiste la coppia di complici tanto meno quella di amici. La regia inquadra bene la storia, esalta le qualità recitative di Marcello Fonte che interpreta Marcello in tutte le sue paure, contraddizioni e speranze. A risaltare anche le qualità attoriali di Edoardo Pesce che interpreta Simone in tutta la sua presenza fisica e violenta.

Una sorprendente coppia di attori complementari in tutto: dalla dimensione fisica, piccolo Marcello e mastodontico Simone alla differenza di carattere. La strabiliante fotografia di Nicolaj Bruel impreziosisce tutte le scene. Niente di eccessivamente colorato ma tutto in linea con le caratteristiche del film. Limiti e confini molto sfumati, colori che si fondono ed esperienze di vita che si mischiano a tal punto da non permettere allo spettatore di capire chiaramente la parte dalla quale stare.

Dopo il bellissimo “Il racconto dei racconti” un altro fantastico film di Matteo Garrone da vedere e rivedere.

Voto: 7,7

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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