Recensione in anteprima – Tratto dalla biografia “I am Ibra” scritta da David Lagercrantz e dallo stesso calciatore, il film del regista svedese Jens Sjögren restituisce al pubblico la storia di Zlatan bambino, della sua infanzia e adolescenza. Prima dell'”Ibra” leader e campione indiscusso viene raccontato l’adolescente, il giovane, l’uomo. Un racconto sincero, che non giudica e non esalta, tra il film drammatico e il documentario classico. Al cinema dall’11 novembre.

La storia

Zlatan (Dominic Bajraktari Andersson bambino e Granit Rushiti da giovane) è un bambino vivace ed energico, animato dall’impazienza tipica della sua età. Ma lui sembra diverso dagli altri e vuole dimostrare di esserlo attraverso il suo talento, quello per il calcio. Zlatan vive in un sobborgo di Malmö, Rosengård, abitato perlopiù da immigrati.

Lui stesso è figlio di immigrati jugoslavi. Il futuro campione cresce sotto l’ala del suo ghetto, tra il divorzio dei suoi genitori, la sua cattiva condotta scolastica e il pregiudizio di chi lo vede solo come un bambino problematico. Dai primi anni fino alle giovanili del Malmö FF, dai primi gol sui campi di fango a quelli sull’erba dei professionisti: Zlatan è la storia del bambino e del ragazzo, prima che dell’uomo e del campione che tutti conoscono e riconoscono.

La storia dell’atleta che ha raggiunto molti successi e molta fama. Che rappresenta un leader fuori e dentro lo spogliatoio. Il carisma di un giocatore di oltre 40 anni ancora competitivo con giocatori che possono benissimo essere suoi figli. Tutto questo non viene raccontato e viene relegato sommariamente e velocemente ai titoli di coda del film.

Fuori dal cerchio

Sin dalle prime immagini lo Zlatan bambino e soprattutto giovane viene mostrato nel suo essere sempre una persona fuori dal coro, all’esterno di quel cerchio ideale che una squadra costituisce in certi momenti dell’allenamento.

E’ un bambino che vive la frattura tra i due genitori, subisce la provenienza estera in un paese, la Svezia, più civile di tanti altri ma sempre restio all’integrazione perfetta nella scuola e nello sport.

Concentrandosi sul periodo che va dai 10 ai 20 anni circa di Zlatan, il regista racconta l’esplosione da baby fenomeno di un calcio di periferia con tutto l’entusiasmo di un bambino che si diverte. Ci sarà anche la presenza della noia, della supponenza, della pigrizia di un giovane che, con arroganza si crede arrivato e pretende posizioni, fama, squadre che ancora non merita.

Cambio di passo

Il giovane Zlatan matura e ritrova l’entusiasmo e la caparbietà di quando era bambino. Il cambio di passo è ben organizzato dal regista che, in un certo senso lo fa durare una novantina di minuti, come una partita, quasi quanto tutta la durata del film. Jens Sjögren non dirige solo un documentario dalla ricostruzione classica ma contamina la sua opera con scene da film drammatico. La regia appare non eccessivamente ricercata ma molto caratteristica e precisa per un tipo di narrazione che esalta l’uomo Zlatan.

Spesso la ripresa dello Zlatan bambino oppure giovane è data inquadrando le spalle del protagonista, seguendolo con una ripresa a mano sempre abbastanza vicino. I primi piani su scarpe, pallone, sulle azioni di preparazione negli spogliatoi, sul volto di Zlatan tendono a sottolineare l’azione, la stessa narrazione ma non la sostituiscono mai.

Sia Granit Rushiti che Dominic Bajraktari Andersson forniscono un’ottima interpretazione, coadiuvati anche un cast che svolge bene il ruolo che viene chiamato a ricoprire. Qualche passaggio a vuoto si nota purtroppo nel personaggio di Mino Raiola e nei personaggi che costituiscono il board della Juventus.

“Zlatan” è un film che non esalta e non denigra, non accusa e non difende il campione che molti hanno imparato ad amare (e alcuni a odiare). Prodotto in Svezia da un cast tecnico e artistico svedese il film non cade mai nel tranello di essere troppo assolutorio, patriottico, divistico o altro. L’uomo carismatico, l’uomo spogliatoio, il “dio del calcio” come lui stesso si è autoproclamato in un misto di arroganza e di consapevolezza (certificata) dei propri mezzi non fa parte di questo film. Il film è interessante, godibile, e trasuda profonda e cruda sincerità (a volte scomoda) che si può ritrovare nello stesso Ibrahimovic

Voto: 7

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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