Recensione in anteprima – Venezia ’24 – In concorso – Terza opera per il regista Brady Corbet che ritorna alla Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia dopo “Vox Lux” del 2018. “The Brutalist” ha una durata di oltre 200 minuti e racconta con ottime scelte di regia, sceneggiatura e ritmo un’epopea che coinvolge e interessa emotivamente il pubblico.

La storia

Quando il visionario architetto László Toth (Adrien Brody) e sua moglie Erzsébet (Felicity Jones) fuggono dall’Europa del dopoguerra nel 1947 per ricostruire la loro famiglia e assistere alla nascita dell’America moderna, le loro vite vengono cambiate per sempre da un misterioso e ricco cliente. L’architetto László Toth non è mai esistito ma rappresenta, secondo le parole del regista, tutti quegli artisti che, da stranieri, avrebbero dovuto avere fortuna negli Stati Uniti ma non l’hanno avuta.

Tutto inventato quindi ma estremamente legato alla realtà dei primi anni del secondo dopo guerra negli Stati Uniti. L’arrivo a New York, la vita a Philadelphia sono magistralmente riproposte nei luoghi, nei vestiti, nelle auto e nelle scenografie. La sceneggiatura è sempre molto ben costruita lasciando spazio sia a momenti di profonda tristezza sia a momenti di adeguata felicità.

Epopea artistica

L’arte, intesa sia come quella professata dal protagonista, l’architettura, sia quella cinematografica del regista risultano essere delle vere e proprie epopee artistiche. Riguardo all’esperienza cinematografica, Brady Corbet afferma di aver fatto tutto quello che invece si dice non sia più utile, conveniente fare producendo e presentando un film al cinema.

Il regista, infatti, gira gran parte del film in pellicola 70mm, non si preoccupa della durata di oltre tre ore, predispone un’ouverture tipica di qualche decennio fa e si preoccupa anche di avere un cartello di intervallo per dividere perfettamente il film in due parti.

L’epopea filmica si riscontra nell’epopea artistica del protagonista. László riesce a fuggire dall’olocausto e abbraccia da solo la sua nuova vita in America convinto che le sue doti non possano essere riprodotte in terra straniera. Questa convinzione è vera fino ad un certo punto e anche nel proseguimento della vicenda si possono carpire e capire tutte le sfaccettature di una società molto chiusa agli immigrati e che aiuta questi ultimi solo a livello di facciata o per il minimo indispensabile.

Interpreti di una storia

Nel corso di tutta la durata del film il pubblico non distoglie gli occhi dal protagonista László. Ne percorriamo tutte le sue qualità, i suoi difetti e tutti i suoi vizi, anche quelli pericolosi per sé e gli altri. Questa condizione affonda nella realtà della società americana, nella difficoltà di trovare alloggio, lavoro e soprattutto un lavoro dignitoso e che possa essere retribuito correttamente.

Il volto di László è dato dalla perfetta interpretazione di Adrien Brody. Un attore che si cala fisicamente e moralmente nella parte, che riesce a trasmettere allo spettatore gran parte del messaggio del film anche solo con lo sguardo o il suo atteggiamento del corpo. Una perfetta prova d’attore che innalza anche quelle del resto del cast anche se Felicity Jones e (Zsofia)Raffey Cassidy avrebbero meritato anche maggior spazio.

L’arte, l’architettura in particolare, passa in secondo piano rispetto a quanto accade al protagonista e al magnate di turno, quel Van Buren che, pieno dei suoi possedimenti e del suo denaro ha l’arroganza spesso celata da cortesia, di innalzarsi sopra gli altri. L’atteggiamento, ben espresso da Guy Pearce è di una prepotenza del poter comprare tutto, dell’avere più che l’essere.

Il finale, forse troppo didascalico e veloce chiude un film statutario, sicuramente il miglior film del giovane regista un deciso passo avanti rispetto a “Vox Lux”

Voto: 8,3

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *