Recensione in anteprima – Venezia ’24 – In concorso – Undicesimo film/documentario sulla figura di Maria Callas. Dopo Fellini, Zeffirelli, Capitani, per citare i più rinomati è la volta dell’opera di Pablo Larrain. Il regista cileno chiude la sua trilogia di biopic dedicata a tre donne influenti dopo “Jackie” (2016) e “Spencer” (2021). Al cinema verrà distribuito da 01 Distribution.
La storia
Il film racconta la storia tumultuosa, bella e tragica della vita della più grande cantante d’opera del mondo, rivissuta e reimmaginata durante i suoi ultimi giorni nella Parigi degli anni 70.
La narrazione parte proprio da una scena iniziale che è tipicamente nelle corde del regista Larraìn. L’inquadratura da fuori della stanza di una porta e, quasi in lontananza il fulcro della scena: il recupero del corpo senza vita di Maria Callas (Angelina Jolie) che giace sul pavimento. Si ritornerà lì nel finale con tanto di giorno e anno preciso, un cerchio che si chiude e che, nelle due ore del film, permette allo spettatore di vivere, in compagnia di Maria Callas alcune delle tappe più importanti della sua vita artistica e personale.
L’approccio del regista cileno, anche in questo caso, non è da tipicamente da biopic documentaristico. Come nelle precedenti sue opere nominate “Jackie” e “Spencer” anche qui Larraìn cerca un approccio originale e non banale. All’aspetto meramente storico e nozionistico viene privilegiata una rilettura più intima e visionaria.
Visioni musicali
Le visioni di Maria Callas sono visioni musicali. Il pubblico accompagna gli ultimi giorni di vita di Maria attraverso le passeggiate e gli incontri della protagonista. Lo spettatore vede con gli occhi di Maria i suoi ricordi della vita passata e che il regista dipinge di bianco e nero. Tutto il colore è dato spesso alle interpretazioni canore, soprattutto quelle ricostruite in maniera improbabile come per esempio la splendida scena che vede un’orchestra suonare sotto la pioggia.
L’interpretazione di Angelina Jolie si avvale soprattutto dell’espressione corporea e delle espressioni facciali. Il canto, ovviamente, è quello della Maria Callas originale e la Jolie è abbastanza credibile nel playback anche se l’illusione è consapevole nel pubblico. Solo la parte finale è un mix della voce della Callas e dell’interpretazione di Angelina Jolie.
Rapporti da autobiografia
Benché il pubblico e soprattutto gli estimatori di Pablo Larraìn siano consapevoli del suo stile impeccabile, il film offre qualche spunto di originalità. Non tanti ma sufficienti a smarcare l’opera e renderla parte di questa trilogia ma film che se ne differenzia. Si tratta dell’enorme lavoro fatto dal regista, non sempre con scene riuscitissime, nell’introdurre e sviluppare il meccanismo dell’autobiografia attraverso una non meglio identificata intervista con un giornalista con un nome evocativo e con le fattezze di un giovane.
Trattare più in dettaglio questo meccanismo svelerebbe troppo del racconto che, spesso, forse troppo, si avvale della sontuosa musica di accompagnamento sia diegetica sia extradiegetica. I rapporti descritti da questa intervista affondano le radici nel passato dell’artista e raccontano anche il presente. Un passato fatto di amori, delusioni, di occupazione, di sofferenze, gioia e successi. Il presente invece è buio nonostante le tende lasciate aperte da Ferruccio (Pierfrancesco Favino) al quale viene sempre fatto spostare un pianoforte anche se questo resterà sempre muto.
“Non vado al ristorante per mangiare, vado per essere riconosciuta e venerata”
Il presente di quel 1977 però è un presente di delusioni, depressioni, di un’artista che si affida a droghe, farmaci e alcol per affondare i suoi pensieri nei ricordi che sfuggire alla realtà che non la riconosce più quella diva di un tempo. Al fianco solo i fidati il maggiordomo Ferruccio e la domestica (Alba Rohrwacher).
“Maria” è un film non perfetto ma che ha un’ottima regia e una sentita interpretazione di Angelina Jolie.
Voto: 7,5