Recensione – I fratelli Zimbalist portano sul grande schermo la storia del leggendario Pelè, da molti considerato il più grande giocatore di calcio che abbia mai solcato i campi di calcio. Il film punta sul sicuro e non si sbilancia nell’estro tipico del suo protagonista.
il 1950 e il Brasile intero ha la radio all’orecchio o gli occhi puntati al piccolo schermo: è una questione di orgoglio nazionale. La sconfitta in casa, per mano dell’Uruguay, nell’ultima partita dei Mondiali di Rio, getta il paese in uno stato di prostrazione collettivo e devastante. Attraverso la messa in discussione della pratica della ginga, espressione di un calcio felice e spettacolare, i brasiliani mettono in discussione la loro stessa identità e la loro visione del mondo. Ma non il piccolo Dico, 9 anni, folletto del calcio giocato senza scarpe tra i vicoli di Bauru. Colpito dalla tristezza sul volto del padre, Dico gli promette che un giorno porterà il Brasile alla vittoria, e dodici anni dopo, in Svezia, onorerà quel primo voto e si farà conoscere dal mondo intero col nome di Pelé.
Parte tutto da questa promessa. Il Pelé bambino che, affranto dalla delusione del mondiale 1950 e spavaldo e sicuro promette al padre di vincere il mondiale. Il film promette infatti, promette sin dal suo rocambolesco inizio, tanto divertimento e azione sportiva ma inciampa in uno stile narrativo troppo prudente e che mal si sposa con la gioia e la fantasia dei giocatori brasiliani.
Durante tutto il film si è spettatori quasi ricattati dal fatto che i registi scelgano di narrare la vita del calciatore soffermandosi in modo troppo programmato e didascalico su alcuni punti importanti della sua vita. Per carità, l’effetto è di sicuro impatto emotivo anche perchè a tratti le lacrime scendono ma la fantasia propria delle prime immagini che faceva ben sperare naufraga davanti alla gabbia creata dagli Zimbalist. Un vero e proprio catenaccio giusto per rimanere in tema.
“Pelè” comunque risulta un film scorrevole e che si fa guardare con una parte iniziale molto incoraggiante e con un finale esaltante e commovente, forse troppo. Nel mezzo, il piccolo Pelè, un ottimo Leonardo Lima Carvalho che cede il testimone, ad un certo punto a un altrettanto espressivo Kevin De Paula quando Pelè ha l’età, 17 anni, della sua prima convocazione nella nazionale brasiliana.
Il film doveva essere pronto per i mondiali in Brasile del 2014, molte scene infatti son state registrare nel 2013 ma il non perfetto gradimento della produzione di alcuni risvolti narrativi ha portato a registrare nuove scene nel 2015 proponendo poi il film nel 2016, per l’Europa a ridosso dei campionati europei di calcio. Pelè, il vero Pelè, è stato anche in Italia per la promozione del film e appare in un cameo.
Negli ultimi 20 minuti il film diventa esaltante e pieno di fantasia, proprio quando appare Pelè, il vero Pelè nel suo godibile e ben strutturato cameo.
“Pelè” o meglio “Pelè, the birth of legend” è un film appena sufficiente se si guarda al suo complesso e che osa poco. Rimane un bel ritratto di una leggenda anche se non gli rende perfettamente giustizia in quell’attività che gli riesce meglio, e cioè il calcio. Grazie a Pelè, quello reale, è realmente cambiata un’era e c’è stata una svolta culturale e sportiva che si capisce poco nel film.
Voto: 6,2