Recensione in anteprima – Ventiseiesimo film del regista ottantenne Martin Scorsese dopo quattro anni da “Irishman”. Con il precedente, “Killers of the flower Moon” ne condivide la durata fiume, oltre le tre ore e 20 minuti. Un’epopea che scova nella storia degli Stati Uniti una colpa mascherata da “affari”. Un film di una qualità artistica elevatissima che rimarca, ancora una volta, la cattiveria dell’animo umano. Dal 19 ottobre al cinema.
La storia
Oklahoma, primi anni Venti. Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) ha combattuto in guerra e torna nella nativa Fairfax in cerca di fortuna. Suo zio William Hale (Robert De Niro) gli ha promesso un lavoro all’interno della Nazione Indiana degli Osage, che sono diventati improvvisamente ricchi perché sul terreno “risarcito” loro dagli yankee – perché sembrava infruttuoso – è comparso il petrolio in grandi quantità. Su consiglio dello zio, Ernest sposa una donna nativo-americana, Mollie (Lily Gladstone), in parte perché spera di appropriarsi delle sue ricchezze, in parte perché ne è davvero innamorato.
Nella Nazione Indiana gli Osage si stanno ammalando e muoiono uno dietro l’altro di una strana “consunzione”, o di quella malinconia che i conquistatori sono ben contenti di far loro affogare nell’alcool. Quelle morti sono strategiche e stanno avvenendo anche nella famiglia di Mollie. E la cittadina di Fairfax è piena di disperati pronti a commettere omicidi, furti e rapine, sapendo che la legge chiuderà un occhio su chi prende di mira i “pellerossa”.
Tratto dal romanzo “Gli assassini della terra rossa” di David Grann, il film ne ribalta il protagonista che non è più l’agente della nascente FBI (Jesse Plemons) bensì Ernest stesso.
Un lento e ritmato incedere
Nelle oltre tre ore e venti minuti del film Martin Scorsese ci presenta una parte della storia americana che è sempre bene ricordare. Quegli anni ’20 così frenetici di affari e così lenti nel cambiamento sociale. La fortuna che cade dall’alto, anzi, meglio, come ricchezza che spunta dal terreno ridimensiona i rapporti umani, sociali, di lavoro. Gli sfrattati e sfruttati possono ora sfruttare il terreno per diventare ricchi.
Ma il film illustra che c’è sempre un’avidità superiore che si fa beffe della fortuna e della ricchezza improvvisa. L’avidità, il male intreccia un lento e preciso piano. L’incarnazione perfetta di questo male è il personaggio di William “Bill” Hale. Uno straordinario Robert De Niro che a metà tra il “suo” Al Capone e il nonno benevolo appare quel diavolo vestito d’agnello sintesi perfetta dell’ipocrisia.
La comunità indiana appare invece libera ma corrotta dalla ricchezza, sincera e, allo stesso tempo, quasi ingenua. La fiducia nell'”uomo bianco” fatica a vacillare anche davanti ai raggiri più telefonati. I delitti son campanelli d’allarme che accendono, letteralmente, alcune luci, quelle luci che decorano i viali principali per difendersi dal buio dell’ignoto.
Con un ritmo lento ma costante e mai pesante o noioso il film procede agganciando lo spettatore nella vicenda. La costante colonna sonora detta il ritmo di sottofondo e mixa abilmente sonorità native indiane e suoni moderni.
Il peccato rivelato
Martin Scorsese mette nuovamente a nudo la malvagità dell’animo umano, la sua colpa e rivela uno dei (tanti) peccati americani della nascente (e forse anche presente) nazione statunitense. Una pagina di storia troppo spesso taciuta. Una prevaricazione che attraverso la scusa degli affari giustifica soprusi, violenze e delitti.
La fotografia perfetta, le interpretazioni magistrali, un consolidato e puntuale montaggio, una sceneggiatura estremamente curata fanno di “Killers of the flower Moon” un ennesimo capolavoro della filmografia del regista americano.
Lo spettatore potrebbe essere spaventato dalla durata “extra large” del minutaggio del film ma la trama viene sviluppata anche attraverso una sorta di thriller “a carte scoperte”. Un intreccio di malefatte sotto la luce del sole, talmente palesi da sembrare quasi irreali ma, purtroppo, ribadiscono la cattiveria di una parte della società degli anni ’20 americani che poi sarà la base per la creazione di altri “affari” quali mafia, gangster e malavita organizzata in generale.
“Killers of the flower moon” è un film che necessita di essere visto al cinema, con la concentrazione di non perdere nemmeno un minuto di un racconto che sarebbe delittuoso relegare alla sola visione distratta dello streaming.
Voto: 9