Recensione – 70 anni – Il 24 novembre 1948 esce nelle sale italiane la seconda opera di Vittorio De Sica. Un capolavoro indiscusso che tutti abbiamo sentito nominare, che molti hanno visto e che tanti hanno amato. La rinascita italiana post bellica che si mescola con la povertà di gran parte della popolazione di quegli anni.

Disegnare un’epoca

Ladri di biciclette non è stato solo il manifesto del neorealismo italiano, il secondo lavoro di Vittorio De Sica o il cult in bianco e nero sulle difficoltà del popolo della penisola nel secondo dopoguerra. Ladri di biciclette è stato ed è, se possibile, ancora di più.

Esso ha avuto l’enorme merito di dimostrare all’ Italia la forza incontrastabile del cinema come mezzo di comunicazione sociale. Dare voce a un popolo che non trova sfogo nelle pagine dei giornali, che cerca lentamente di riprendersi da una Seconda guerra mondiale, a livello collettivo sia psicologico che economico. Una prova in merito, nel caso in cui ce ne fosse bisogno, è l’aperta ostilità rivolta al film dalla classe dirigente del periodo, su tutti di Giulio Andreotti, il quale sosteneva

“i panni sporchi andassero lavati in famiglia.”

Il cinema del reale, davvero

La vicenda narrata è quella di Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), disoccupato al quale la collocazione comunale trova un lavoro come attacchino di manifesti legati al cinema; l’occupazione però è strettamente al possesso di una bicicletta da parte del lavoratore. Non potendosi permettere di perdere quell’occasione, Ricci accetta il lavoro e si reca il giorno stesso al banco dei pegni con la moglie Maria (Lianella Carell), al fine di impegnare delle lenzuola e poter riscuotere la propria bicicletta.

Il primo giorno di lavoro vede il protagonista vittima di un furto orchestrale perpetrato da un terzetto di ladri ben organizzati. Da questo punto in poi il film diventa una lunga ricerca del mezzo da parte di Antonio e del proprio figlio Bruno (Enzo Staiola), nella speranza di ritrovare quella che è per loro la chiave per una vita sostenibile. L’incapacità delle forze dell’ordine di aiutare il malcapitato, il menefreghismo delle folle di Roma e il rapporto padre\figlio sono le principali tematiche della seconda parte dell’opera.

De Sica nonostante il fallimento commerciale di Sciuscià

Tratto dal romanzo omonimo di Luigi Bartolini, il film nasce dal soggetto di Cesare Zavattini, storico collaboratore di De Sica. Questo secondo film oltre a essere diretto, è stato anche sceneggiato (parzialmente) e prodotto dal regista di Sciuscià.

Il film ha avuto un’accoglienza difficile da parte degli spettatori, tanto che alla prima proiezione pubblica in molti chiesero il rimborso del biglietto. Ottime critiche dalla stampa e dagli addetti ai lavori invece al punto da fare incetta di premi quell’anno, divenendo il primo film italiano a vincere l’Oscar nella sezione miglior film in lingua straniera. Venne fin da subito inserito nelle principali classifiche cinematografiche a livello mondiale, dimostrandosi insieme a Roma città aperta del ’45 di Rossellini il capostipite del neorealismo.

Una città lunatica, a tratti ingestibile

Roma viene presentata come una città popolosa ma ostile, nel freddo bianco e nero della pellicola la folla della città capitolina si schiera moralmente dalla parte della giustizia solo quando le fa comodo maggiormente. Antonio Ricci si scontra con un rione malfamato in cui il ladro della bicicletta riesce a trovare protezione, nonostante il tentativo di un carabiniere di venire in aiuto al malcapitato. La stessa folla che al momento del furto iniziale della bici si dimostra inconsistente, menefreghista e sciatta si riscatta nel finale quando la disperazione muta la morale e genera ingiustizia.

Gli attori ‘presi dalla strada’ hanno connotato Ladri di biciclette (Enzo Staiola, il piccolo Bruno, su tutti) e dettato le regole del neorealismo, genere fondamentale per la costruzione del cinema del nostro paese nelle decadi a seguire.

Per chi fosse interessato a vedere un film storico per i motivi sopra citati, o anche solo chi voglia rivivere la malinconia, la disperazione e il bisogno di lottare che esso trasmette, può da quest’anno visionare la versione restaurata in digitale dalla Cineteca di Bologna.

Voto: 8.5

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