Recensione in anteprimaUltima opera di Paul Thomas Anderson, un regista noto per la sua audacia nel trattare temi complessi e profondi. Con una narrazione stratificata, il film affronta le complesse relazioni tra potere e coscienza sociale, posizionando il pubblico nel vivo di una contesa che è sia leale che opportunistica. Al cinema dal 25 settembre. 

La trama

Il film si svolge in un contesto di profonda instabilità politica e sociale, ispirandosi a eventi contemporanei che hanno marcato le relazioni internazionali e, soprattutto le vicende interne americane. La storia ruota attorno a Bob Ferguson (Leonardo DiCaprio), ex rivoluzionario e attivista per i diritti civili appartenente al gruppo French 75 di cui fa parte anche la sua compagna Perfidia (Teyana Taylor). I due hanno una bambina Wilma (Chase Infiniti) e si trovano in contrasto con il rinnovato stile di vita che questa genitorialità richiederebbe.

Dopo 16 anni, una loro vecchia e nemica conoscenza, il colonnello Steven J.Lockjaw (Sean Penn) da nuovamente la caccia a Bob in cerca soprattutto di Wilma, nata, oltretutto, da una relazione interraziale fortemente osteggiata dal gruppo suprematista bianco al quale il colonnello aderisce.

Il film, attraverso i personaggi principali, esamina le dinamiche di potere e corruzione, le relazioni interpersonali influenzate dagli eventi politici e le ripercussioni delle scelte individuali su una scala più ampia. Focalizzandosi su temi come la moralità nel mondo del potere e la responsabilità sociale, Anderson crea uno spaccato della società contemporanea, critico e riflessivo. Mentre la trama può sembrare molto semplice e datata, lo sviluppo e ciò che la sceneggiatura descrive non lo è affatto soprattutto in relazione a scelte registiche ben precise.

L’equilibrio accelerato

Personalmente, la parte iniziale che mi ha affascinato per ritmo e regia mi ha invece urtato per quanto riguarda le motivazioni che muovono i protagonisti. Delle motivazioni di facile populismo, come si sarebbe detto fino a qualche tempo fa e che adesso son incasellate nella più opportuna “disobbedienza civile” che sfocia, per quanto si vede, nell’anarchia con l’uso di una violenza che si vorrebbe in realtà combattere.

Ma il film non è tutto nell’inizio. Risulta volutamente sbilanciato a tal punto che le scene si susseguono velocemente e i pianisequenza ci portano a un’accelerazione costante del tempo della storia. Questa accelerazione è talmente profonda che spesso l’audio di alcune scene viene anticipato già nel finire della scena precedente a sottolineare la corsa che il regista vuole far fare ai personaggi e, soprattutto agli spettatori.

Sorretta da una Teyana Taylor perfetta nell’apparire cinica, spietata e con poca indole al rientrare nel rango di una classica madre e compagna la prima parte è potente nella messa in scena quanto labile nel messaggio. Con l’interpretazione di Leonardo DiCaprio, il suo Bob ridà un certo equilibrio, un minimo di ragionata incertezza e dubbio sui mezzi utilizzati per il nobile fine. In questa prima parte conosciamo il militare Lockjaw, non ancora colonnello che già viene caratterizzato da Sean Penn in maniera estremizzata portando al formidabile eccesso la dura e imperturbabile mimica facciale, il suo incedere da soldatino addestratto e indottrinato.

Sul filo dell’equilibrio

Anderson conferma la sua maestria nel cinema attraverso l’uso di pianisequenza e una fotografia d’arte che esalta i contrasti visivi tra il mondo della politica e quello della realtà quotidiana. Le riprese lunghe e curate sono impiegate per enfatizzare i dialoghi densi e le emozioni, permettendo al pubblico di immergersi nelle tensioni narrative. La parte centrale, la più ampia, segue un ritmo normale e il film si lascia attraversare anche da qualche momento di introspezione che permette allo spettatore di conoscere meglio i protagonisti e, soprattutto Bob.

“Una guerra dopo l’altra” rimane comunque un film dove la fuga la fa da padrona. E’ presente in molte scene e monopolizza tutta l’ultima parte in una dinamica di fuga e rincorsa. Il film sembra seguire un doppio filo. Il primo riguarda il filo della vicenda che è contornato da linee sempre più dritte e che si devono allineare sia nella scena con gli elementi scenografici, sia con le volontà dei tre personaggi principali. Un secondo filo riguarda il filo delle relazioni, quel “filo nascosto” non a caso già presente in altre opere del regista e che unisce i vari personaggi. Un filo di parentela, di affetto, di amicizia o di semplice complicità per una causa comune. E’ un filo che fa si attorciglia, si annoda su se stesso e cerca di dipanarsi nel miglior modo possibile senza lesinare divertimento e ironia, amara e triste ironia.

Un (quasi) capolavoro

L’opera di Anderson richiama influenze da film come “Il petroliere” e “Magnolia”, dove le relazioni interpersonali sono intimamente legate ai contesti di potere e tristezza. La sua abilità nel costruire trame dense e sfaccettate emerge nel modo in cui i personaggi si intersecano, provocando una riflessione profonda sugli effetti collaterali del potere e delle ambizioni umane.

“Una battaglia dopo l’altra” si configura come un’affermazione potente di Paul Thomas Anderson, che utilizza il medium cinematografico per esplorare le complessità dell’animo umano all’interno di contesti sociali e politici sfumati. Con performance straordinarie da parte del cast e una direzione impeccabile, il film si propone non solo come una visione drammatica, ma anche come un’importante osservazione delle dinamiche personali all’interno di una realtà in continua evoluzione.

In fin dei conti il film è da considerarsi uno dei migliori del regista e, da alcune parti potrà essere considerato anche un capolavoro. Degli oltre 162 minuti non si sente minimamente il peso anche perché il film è molto veloce e scritto molto bene attraverso la sceneggiature dello stesso regista che prende spunto dal romanzo “Vineland” di Thomas Pynchon. “Una battaglia dopo l’altra” sarà sicuramente protagonista della stagione dei premi anche grazie ai temi trattati e alle incredibili performance di Leonardo DiCaprio e, soprattutto, di Sean Penn.

Voto: 7,7

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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