Recensione in anteprima – Venezia 76 – In concorso  Roy Andersson non scende a compromessi: una volta scelta la propria cifra stilistica il regista Svedese non l’ha più abbandonata. Dopo il leone d’oro per un piccione seduto su un ramo medita sull’esistenza si ripresenta al lido con About Endlessness.

Ma di cosa parla?

Una sovrapposizione poetica di quadri che catturano momenti di vita. Alcuni dei personaggi ritratti sono Adolf Hitler, una direttrice marketing, una donna che ama lo champagne e un prete. La narrazione è guidata dalla voce calda di una donna, una sorta di Scheherazade (delle Mille e una notte) che racconta la storia dell’umanità e invita gli spettatori a riflettere sulla preziosità e la bellezza della nostra esistenza.

Roy Andersson incarna l’essenza dell’ odi et amo cinematografico (altro che Tarantino).

Camera statica e movimenti ridotti all’osso sono i pennelli che il regista usa per dipingere ciò che per lui è la vita quotidiana. I colori da lui scelti sono semplici, sono racconti circa la banalità del giorno. Il suo scopo è mostrare debolezze e virtù della gente comune, dimostrando che tutto ciò che non sembra avere senso è comunque fantastico, mentre tutto ciò che nella vita ci appare fantastico, non ha comunque senso. Chiaro, no?

Un cinema che serve

Questo genere di opera non si basa su di un forte ritmo narrativo o su di un montaggio frenetico; non ci sono colpi di scena perché non c’è una vera narrazione. Però gli eventi, seppur rarefatti, ci sono. Le scenografie sono teatrali e mettono in scena dei racconti che ricordano incredibilmente i narratori russi, cechi e polacchi; su tutti non si può non citare Čechov.

Da questi il regista eredita lo stile che pare sconclusionato, quasi assurdo, che spinge lo spettatore a ricercare una morale, anche dove questa manca. In merito si rimanda a A serious man dei fratelli Coen, o a buona parte della filmografia di Woody Allen.

Cosa cambia negli anni

Bisogna dire che non discostandosi dal film precedente (e più in generale da quelli precedenti) Andersson rischi di cadere nella ripetizione e nell’autocelebrazione. Nonostante questi rischi, il suo è un cinema che sebbene possa sembrare banale, è necessario.

Nel quotidiano convivono commedia e tragedia, senza che le due siano scisse. Ci si può aspettare sempre qualcosa, un cambio di rotta che movimenti la giornata, ma ciò non avviene, nel film come nella vita del 99% dei quasi 8 miliardi di persone che respirano oggi.

In anni durante i quali il cinema di massa spinge verso i super, verso l’estremo, verso il diverso e il particolare (verso l’1%), Andersson si mantiene fedele alla propria idea di cinema e ci mette di fronte a quel fantastico 99%.

Voto: 7.5

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