Arrival (anteprima)

Recensione in anteprima – Venezia 73 – In concorso – Il nuovo, atteso film di Denis Villeneuve sbarca al Lido con un buon impatto presso la critica. Una fantascienza che vede nuovamente la terra sotto attacco ma con un viaggio reinventato e volto alla ricerca della comunicazione. Dal 19 gennaio 2017 nelle sale italiane.

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Quando un misterioso oggetto proveniente dallo spazio atterra sul nostro pianeta, per le susseguenti investigazioni viene formata una squadra di élite, capitanata dall’esperta linguista Louise Banks (Amy Adams). Mentre l’umanità vacilla sull’orlo di una Guerra globale, Banks e il suo gruppo affronta una corsa contro il tempo in cerca di risposte – e per trovarle, farà una scelta che metterà a repentaglio la sua vita e, forse, anche quella del resto della razza umana.

“Story of your life”, questo il titolo del racconto omonimo tratto sempre dall’antologia di racconti con lo stesso titolo dello scrittore statunitense Ted Chiang. Denis Villeneuve, il regista, che ha sempre desiderato, fin da piccolo, di girare un film di fantascienza si è letteralmente innamorato di questo racconto tanto da portarlo sul grande schermo con la sceneggiatura di Eric Heisserer, già regista di “Hours” e scrittore di film prettamente horror (“Light Out”, “Final Destination 5”).

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Crea interesse il film di Villeneuve fin dalle prime immagini e la sceneggiatura, che ha rapito l’intero cast, si fa concreta, ben sviluppata e non scade in facili errori che il genere cinematografico è solito presentare. Siamo subito nel pieno della angosciante e silenziosa presenza degli alieni ma siamo anche nel cuore e nella testa della protagonista, una formidabile Amy Adams, un’insegnate ed esperta linguista concentrata nel suo lavoro e nei suoi sentimenti verso la figlia.

Il chiaro messaggio di Villeneuve è insito nell’equilibrio tra la diffidenza verso gli alieni e la volontà di stabilire con loro un contatto preferibilmente verbale. La difficoltà di questa ultima impresa non è banalizzata come in troppi film abbiamo visto ma viene approfondita con scelte registiche e di sceneggiatura  tutt’altro che scontate.

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L’atmosfera generale ricorda altri film di fantascienza e il ricordo più lampante va a “Contact” con Jodie Foster. Anche lì si partiva dal voler (ri)contattare gli alieni con una donna protagonista e un suo compagno di avventura. Le personalità, in “Arrival” son invertite lasciando la parte dello scienziato all’uomo (un buon Jeremy Renner) e la parte più umanistica alla donna, la già citata Amy Adams.

Senza svelare troppo riguardo agli alieni e al proseguio della vicenda che riserva qualche colpo di scena e sorpresa, il film pone in evidenza la storia attuale dell’umanità. Troppo divisa e diffidente, troppo ferma a confini e a egoismi che hanno come prima risposta l’attacco militare per difendersi da quella che sembra una minaccia aliena benché gli alieni non abbiano ancora dimostrato nessun atto di ostilità.

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La seconda parte è un crescendo di emozioni e di pezzi di un puzzle che pian piano vanno a completare quel quadro generale che ci permetterà di capire tutta la vicenda. Vi sono chiari cenni a Star Trek sia nei film: “Star Trek Generations” e “Star Trek First Contact” sia nella non troppo precisata filosofia. Sono però gli intrecci con la vita privata di Louise (Amy Adams) che prendono pian piano il sopravvento e costituiscono una parte molto interessante e perfettamente riuscita.

Una lentezza forse di troppo e una poco originalità in alcuni passaggi costituiscono i difetti più evidenti per un film godibile e che vanta una solida regia, una buona sceneggiatura e un’ottima interpretazione della più volte candidata agli Oscar Amy Adams. Completano il quadro una buona colonna sonora di Johann Johannsson, premio Oscar per “La Teoria del Tutto”. Ci sarebbe da parlare anche di qualche simbolismo non troppo casuale seminato qua e là, uno fra tutti il numero delle astronavi aliene: 12, forse un puro caso, forse no.

Voto: 7,2

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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