Recensione in anteprima – A 11 anni dal già di per sé conclusivo quarto capitolo della saga giunge il quinto episodio del “militare” più famoso al mondo. Sylvester Stallone riprende (nuovamente) i panni di John Rambo in una dimensione più familiare e introspettiva. Film che cerca un’identità ormai persa, che scade nel ridicolo in diversi punti con una sceneggiatura molto debole. Buoni alcuni dialoghi tra zio e nipote. Il finale, spiccatamente splatter è liberatorio e diverte. Al cinema dal 26 settembre.

Niente di nuovo dalla trama

John Rambo (Sylvester Stallone) si è ritirato in Arizona, presso la tenuta di famiglia dove vive con la domestica e amica Maria (Adriana Barraza) e con la nipote Gabrielle (Yvette Monreal), entrambe di origini messicane. L’uomo è più integrato che mai, tanto che aiuta anche la forestale nel corso di una alluvione, ma è sempre tormentato dai fantasmi della guerra, infatti vive in un ampio labirinto di tunnel che ha scavato sotto il terreno del ranch. Gabrielle sta per andare al college, ma un’amica trasferitasi in Messico le ha detto di aver trovato suo padre e la ragazza vorrebbe conoscerlo. John e Maria non sono d’accordo, ma Gabrielle non si lascerà convincere e finirà in grave pericolo, obbligando lo zio a imbracciare ancora una volta le armi.

E’ una trama che non lascia nessuno spazio all’originalità e tutto appare già annunciato sin dalla prima scena. Lo spettatore si accorge sin dalla prima parte l’evolversi dell’azione e della storia. Ragion per cui, deliberatamente o meno notiamo un improvvisa accelerata delle scene d’azione con il passare del tempo.

Con l’aumento dell’intrigo accennato nelle motivazioni, semplificato e banalizzato nei passaggi aumenta anche la violenza fino al truculento e splatter finale di circa 20 minuti. Un carico di sangue che richiama concretamente il titolo e ondeggia tra il cult, il cool, il trash, la nostalgia e, involontariamente, talvolta nel ridicolo.

Rambo dimensione “famiglia”

“Nessuno ha un buon motivo per abbandonare la famiglia quando ha la fortuna di averne una”

E’ un Rambo nuovo quello presentato nel quinto capitolo. Un John Rambo segnato dal tempo, dalla fatica e fortemente legato agli affetti che gli rimangono. Tra gli sceneggiatori figura lo stesso Sylvester Stallone e, in certi punti si vede come la direzione delle battute, soprattutto nella prima parte si radichino attorno a un forte senso della famiglia e del dovere.

E’ un Rambo che si fa più Rocky degli inizi, che guarda (invano però) a “Creed”. Si cerca di mitizzare ancora di più il Rambo guerriero impavido associandolo a un supereroe decaduto dal grande passato. Maldestramente il richiamo è al bellissimo “Logan” nella sua ultima apparizione con Hugh Jackman, dove il (non) supereroe si umanizza nel suo percorrere il “viale del tramonto”.

Tramonto che John Rambo insegue a cavallo, con i mezzi che lo hanno accompagnato sempre e cercando di proteggere i familiari che gli sono rimasti. E’ zio di Gabrielle ma ne è in realtà il padre. Quel padre che non è mai diventato per nessuno e di cui se ne legge la voglia negli occhi.

La (sana e splatter) vendetta liberatoria

Negli ultimi 20 minuti circa, il film cambia gradualmente registro. Attraverso una repentina escalation di violenza John Rambo manifesta tutta la sua cruda e sanguinaria rabbia. La vendetta organizzata e pianificata come un’azione di guerra di un esercito (della giustizia) contro un altro esercito del male è pulp, splatter, a tratti trash.

Per tutto il film la parte più debole della sceneggiatura è rappresentata da uno svolgersi dell’azione tra USA e Messico in modo molto veloce, banalizzandone i problemi di sicurezza ed estremizzando al limite del razzismo il comportamento di un gruppo malavitoso. Molte sono le incongruenze, i passaggi illogici, le dinamiche non ben rapportate e le giustificazioni puerili e senza senso di alcune decisioni.

Il tutto si riversa nell’apocalittico finale. Una vera mattanza di corpi colpiti, trucidati e nuovamente colpiti dallo stesso John Rambo in una visione della sua vendetta che si manifesta in modo sadico e liberatorio.

Alcuni montaggi, alcuni passaggi di regia son incomprensibili ma a questi si contrappone quasi una nostalgia finale. Un rendersi conto che John Rambo personaggio ha voluto dire qualcosa di importante a chiusura della sua storia. Il problema risiede nel come questo “qualcosa” viene presentato allo spettatore. Troppa confusione, poco approfondimento, poco sviluppo delle parti più interessanti e meglio riuscite come appunto, il rapporto familiare tra zio e nipote.

Nonostante tutto il film commuove a tratti, diventa divertente e ridicolo involontariamente. Ma John Rambo è John Rambo, quasi impossibile non volergli bene.

Voto: 5,5

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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