Ep. 1×01 – Serie tv – Recensione – Primo episodio della nuova serie tv della saga “Star Trek” creata nel 1966 da Gene Roddenberry. Dopo 12 anni dalla chiusura di “Star Trek Enterprise” l’universo “Trek” ritorna in grande stile.

Questo primo sguardo, o recensione, come la si vuol chiamare, deve necessariamente essere un po’ più ampia e abbracciare anche alcune valutazioni in generale a il periodo televisivo che stiamo vivendo.

“Streaming ultima frontiera…”

La serie classica del 1966, molti film, la serie “Next Generation” presentano un incipit che ne dichiara subito la missione: “Spazio, ultima frontiera. Questi sono i viaggi della nave stellare Enterprise. La sua missione è quella di esplorare strani nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita e di nuove civiltà, per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima.” Questa la formula della serie degli anni 80-90 con il capitano Picard, molto più completa rispetta alla “missione quinquennale” dell’astronave ai comandi del capitano Kirk.

Ma erano altri tempi, “Star Trek” ha avuto sempre il pregio di rinnovarsi rimanendo sempre fedele a sé stessa anche a costo di rimetterci in successo di pubblico. Dapprima si è spostata l’attenzione su una stazione spaziale con “Deep Space Nine”, un inedito per la saga, pagando la scelta con le prime due-tre stagioni che han fatto fatica a sopravvivere alla critica, ai fan. Il cambio di marcia, in corsa, con l’arrivo della Defiant e di Worf e di una sceneggiatura più convincente la trasformeranno nella serie tv di “Star Trek” meglio scritta a parere di chi sta scrivendo questo articolo. Con “Star Trek Voyager” si è persino saliti a bordo di una nuova astronave, cosa che ha lasciato perplessi in tanti che si son dovuti però ricredere nel corso delle sette stagioni della serie. L’Enterprise ritorna e lo fa con una serie prequel, addirittura, cronologicamente precedente alla serie originale degli anni ’60, una serie non perfettamente riuscita ma ha il merito di chiudere un modo di interpretare le serie tv che, forse, aveva fatto il suo tempo.

Adesso il panorama delle serie tv è cambiato in maniera ancora più rilevante. Le piattaforme streaming hanno dato la possibilità di creare nuovi sbocchi per diverse serie tv che, altrimenti non avrebbero visto la luce. E’ aumentata la quantità delle serie prodotte e distribuite, si è incrementata enormemente la qualità delle stesse e, cosa, sicuramente più determinante per il successo, si è velocizzata la fruizione di tutta questa quantità di minuti di fiction. Una serie tv DEVE, oggi, partire a mille sin dalla sua prima puntata, DEVE essere interessante fin dalle sue prime immagini o episodi. Qualche decennio fa, o, comunque nello scorso millennio ci si poteva permettere di avere una stagione di collaudo, di presentazione della serie. E’ stato così per “Star Trek Next Generation” e per “Deep Space Nine” per esempio. Nel nuovo millennio una stagione fiacca vuol dire avere il destino segnato e, molto probabilmente la chiusura della serie. La CBS che detiene i diritti lo sa, come lo sa anche Netflix che distribuisce “Star Trek” in tutto il mondo tranne nel nord America. “Star Trek Discovery” è stato pensato perfettamente per questo compito e, già dal primo episodio lo fa capire. La critica si è espressa con un gradimento che sta oscillando tra l’80 e il 90% mentre il gradimento del pubblico è un po’ più basso.

“Capitano mio capitano” (o forse no)

La grossa novità di questo primo episodio è la precisa valorizzazione del primo ufficiale Michael Burnham, umana ma dall’educazione vulcaniana tanto da essere una specie di seconda figlia del suo mentore Sarek, il padre dello Spock che tutti conosciamo. Viene chiamata “Numero Uno” in una perfetta citazione del “Numero Uno” che il Capitano Picard di “Star Trek Next Generation” destinava al suo primo ufficiale, il comandate Riker. A sua volta si tratta di una citazione del pilot della serie originale nel quale “Numero Uno” era la denominazione di Uhura con a comando dell’Enterprise il capitano Pike: un pilot subito abortito e sostituito dalla versione con il capitano Kirk.

Michael Burhnam è la protagonista del primo episodio e, per stessa ammissione della produzione sarà proprio il punto di vista del primo ufficiale la prospettiva nuova dalla quale guardare l’intera serie, almeno per quel che è la prima stagione. Una stagione che consta di 15 episodi divisi in 7 appuntamenti fino a novembre (la prima uscita è di due episodi) e altri 7 a partire da gennaio. Una storia unica invece di episodi autoconclusivi, altra scelta al passo con i tempi e con ovvi e attesi cliffangher a ogni fine episodio, stratagemma che, in realtà ha avuto inizio anche nelle vecchie serie di Star Trek degli anni 80-90.

Piace il comandante Burhnam, la sua logica vulcaniana che ricorda il comandante “Spock”, la sua fisionomia che fa ritornare in mente vagamente il comandante “T’Pol” di “Star Trek Enterprise”, c’è anche un po’ di Tuvok di “Star Trek Voyager”, tutti vulcaniani. Per ora ci piace anche il capitano, la plancia, la luminosità mutuata dai nuovi film della Kelvin-timeline che, in realtà non dovrebbero aver voce in capitolo. Siamo temporalmente 10 anni prima delle vicende della serie classica della linea temporale originaria e troviamo la Federazione agli inizi, nel suo primo secolo di esplorazioni dopo il via libera al capitano Archer e alla sua prima “Enterprise”.

Pian piano le storie di ogni personaggio verranno presentate nel corso della serie ma il primo episodio con un pizzico di boriosa verbosità di troppo è ricco di spunti e citazioni per chi quel mondo, quell’universo di Star Trek lo conosce bene. Eppure non è uno Star Trek solito, anni luce da Kirk ma allo stesso tempo vicinissimo. A totale trazione femminile gode di una regia attenta, di una ricerca precisa delle parole e dei movimenti. C’è un pizzico di sarcasmo, di ironia, non necessaria, come dice il capitano, ma piace e tanto.

“Klingon o non klingon…”

Prima scena dell’episodio e primi Klingon. Sono Klingon diversi dalla fisionomia alla quale siamo stati abituati e che subiscono una nuova trasformazione. La spiegazione la capiremo nel corso della serie ma, come  il cambiamento tra serie classica e “Next Generation” è stata spiegata con una mutazione genetica, anche in questo caso si può già intuire che i Klingon di questa nuova serie possono essere circoscritti a una particolare razza, estremamente violenta che non rappresenta più la guerra fredda tra “Usa e Urss” degli anni ’60. C’è un accenno preciso al voler classificare i Klingon alla stregua di terroristi, facendo piombare la serie tv nell’attualità. Quel “Veniamo in pace” è un ricordo della serie “Visitors” o, per rimanere in un solco più moderno, l’ambivalenza delle dichiarazioni di cattivi e buoni che si mescolano nelle nuove serie tv. I Klingon sono pericolosi per “Star Trek Discovery” come lo sono i Borg per “Next Generation” o il Dominio per “Deep Space Nine” e averli imbruttiti rispetto alla versione della serie classica ne eleva esponenzialmente l’impressione di popolo violento e dedito alla guerra. Non ci piacevano dai trailers ma, nel contesto si fanno apprezzare.

E’ tutto, e forse troppo per il primo episodio (ma ci sarebbe da parlarne per ogni scena), stendiamo un velo pietoso per il doppiaggio, piatto e svogliato (oltre agli immancabili errori sui nomi tecnici, ma da una nazione che ha chiamato per anni “Spak” il comandante “Spock” non ci si può aspettare granché). Meno male che i Klingon parlano la loro lingua.

Voto: 7,3

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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