Recensione in anteprima – Bong Joon-ho torna al cinema dopo il successo di “Parasite” del 2019. Film che ha ricevuto quattro Oscar, tra cui miglior film, consacrando il regista sudcoreano tra i più importanti registi del ventunesimo secolo. “Mickey 17” parla nuovamente di futuro distopico come fu per “Snowpiercer” e ha una critica sociale come in “Parasite”. Il risultato finale non è all’altezza delle precedenti opere. Al cinema dal 6 marzo.

La storia

Nel 2054, la mancanza di opportunità sulla Terra spinge le masse al pellegrinaggio interstellare, che inevitabilmente vuol dire sfruttamento da parte di potenti demagoghi al comando di queste spedizioni. Uno di loro è Hieronymous Marshall (Mark Ruffalo), politico fallito in cerca di una nuova era per l’umanità su un pianeta inospitale abitato da strane creature. Per sfuggire a dei pericolosi usurai, Mickey Barnes  (Robert Pattinson) accetta di imbarcarsi sull’astronave firmando un contratto da sacrificabile, tuttofare destinati a morire ripetutamente grazie a una tecnologia che consente di “ristampare” un corpo all’infinito mantenendone la coscienza e i ricordi.

“Mickey 17” è un film di fantascienza diretto da Bong Joon-Ho, regista che si distingue per la sua capacità di intrecciare temi di critica sociale e questioni di sfruttamento attraverso una narrazione avvincente e ricca di sfumature. Ispirato al romanzo “Mickey 7” di Edward Ashton, purtroppo questo film non conferma le stesse capacità accontentandosi di ripetere concetti già sviluppati in precedenti opere.

Solo poche scene cercano di spingere l’idea di una società piena di sfruttati dai pochi sfruttatori rilasciando allo spettatore un chiaro simbolismo. Basti notare che il corpo di Mickey viene stampato utilizzando il materiale di scarto, letteralmente la fogna, degli altri esseri umani che abitano la navicella spaziale. Mickey non è più un uomo, è una cavia, duplicata e fatta di scarti.

Il cast

Robert Pattinson, noto per il suo ruolo di Edward Cullen nella saga di “Twilight”, ha intrapreso un percorso artistico che lo ha visto evolversi in attore versatile e rispettato nel panorama cinematografico contemporaneo. Con performance in film come “Good Time”, “The Batman” e “The Lighthouse”, Pattinson ha dimostrato la sua capacità di affrontare ruoli complessi e sfumati. In “Mickey 17”, la sua interpretazione è intensa e sfaccettata; riesce a trasmettere le vulnerabilità e le lotte interiori del suo personaggio, riesce anche a sdoppiarsi e, probabilmente costituisce uno dei pochi aspetti positivi del film.

Accanto a Pattinson, il film presenta un cast di supporto di altissimo livello. Mark Ruffalo, porta una presenza carismatica al film, interpretando un personaggio che incarna le dinamiche di potere e sfruttamento. Ruffalo riesce a bilanciare il suo approccio emotivo e caratterizza il personaggio con un’espressione facciale che ne rimarca l’arroganza e la strafottenza in un crescendo di delirio di onnipotenza. Si tratta di un vago riferimento ai (troppi) politici al potere in questi ultimi anni.

Toni Collette, che interpreta Qwen, è un’altra colonna portante del cast e offre un personaggio che è un perfetto completamento al personaggio di Mark Ruffalo. Le attrici Naomi Ackie e Anamaria Vartolomei, rispettivamente nei panni di Nasha Adjaya e Kai Katz, si distinguono egregiamente. Ackie, in particolare, porta una freschezza e una forza al suo ruolo che è supporto e stimolo per Mickey anche se, forse, cambia spesso caratteristiche in maniera ingiustificata.

La fantascienza di Bong Joon-Ho

Bong Joon-Ho è un regista noto per la sua abilità di fondere la fantascienza con una critica sociale incisiva. In “Mickey 17”, il regista si adagia troppo su argomenti già trattati in “Snowpiercer”, “Okja” e “Parasite” senza fornire un’evoluzione o un qualcosa di originale. La figura del clone diventa una metafora potente per le classi sfruttate, evidenziando come la società possa disumanizzare quelli che considera “usa e getta”. Ma il tutto finisce qui. Forse troppo poco, forse il resto rimane troppo sotto traccia.

“Mickey 17” si inserisce nel filone di opere del regista che cerca di ampliare la discussione su come il capitalismo possa portare all’oggettivazione e alla perdita di umanità in un contesto futuristico. L’obiettivo è centrato solo in parte. La sceneggiatura lascia spazio a scene poco logiche con solo qualche buona trovata. La fattura degli effetti speciali è buona ma durante il film il pubblico ha una forte sensazione di “già visto”, con la paura che l’intero film possa essere una deriva commerciale di idee già presentate da Bong.

“Mickey 17” si presenta come un’opera ambiziosa e provocatoria, ma non coglie il segno, emoziona solo in parte, desta interesse solo in alcuni passaggi. In definitiva, “Mickey 17” è un film che non si impone come vorrebbe e come ci si potrebbe legittimamente aspettare dal talento del regista. Prorompe con i suoi eccessi e le sue iperboli senza creare una definizione solida e un messaggio ficcante. Un’occasione mancata.

Voto: 6

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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