Recensione – Terzo lungometraggio per Gabriele Mainetti a dieci anni dal suo esordio alla regia con il folgorante successo di critica e pubblico di “Lo chiamavano Jeeg Robot” . Come anche in “Freaks Out”, per la terza volta, il film è ambientato a Roma e mescola bene elementi filmici tipicamente italiani (e romani) e contaminazioni da altri generi e passioni straniere. La contaminazione, ancora una volta, è un rischio che il regista si prende, e, nuovamente vince. Al cinema dal 20 marzo.
La trama
Film comincia dalla storia di due sorelle, divise dal regime cinese e dalla politica “del figlio unico”. Mei (la stunt woman Yaxi Liu) arriva a Roma alla ricerca della sorella Yun (Miki Yeung), finita in un traffico di prostituzione in un locale cinese dell’Esquilino “La città proibita”, gestita dalla gang malavitosa del sig. Wang (Chunyu Shashan).
Il quartiere, raffigurato come un rione multietnico, con mercati di strada e bancarelle, esprime romanità attraverso la trattoria “da Alfredo”, un ristorante romano gestito da Lorena (Sabrina Ferilli) e suo figlio, il cuoco Marcello (Enrico Borello). I due gestiscono l’attività di famiglia tra i debiti lasciati dal fuggitivo marito e padre Alfredo (Luca Zingaretti) e il tavolo prenotato “ad honorem” dell’amico di famiglia e boss del quartiere Annibale (Giancarlo Giannini).
“Lo chiamavano” Kung-fu vs la trattoria romana
Mei è determinata ed userà l’arte marziale insegnata dal padre, in uno sperduto villaggio della Cina, per scatenare delle folli lotte a colpi di kung-fu e per scoprire “senza esclusione di colpi” dov’è sparita la sorella. La pellicola di Mainetti, comincia subito con azioni e combattimenti, mettendo in scena a regola d’arte un action-gungfu movie grazie alla bravura e la tecnica della Liu. L’attrice cinese è alla sua prima d’attrice, voluta dal regista dopo diverse esperienze stunt (live action Disney Mulan), per avere un personaggio tecnicamente realistico e spettacolare.
Mentre nella città proibita volano calci volanti e pugni, esiste un piccolo angolo di romanità nella trattoria “da Alfredo”. Affrescato di fotografie con varie celebrità, Zingaretti viene presentato come un personaggio “mitologico” della ristorazione romana. La moglie Lorena lavora alla cassa, tra conti e fatiche dialettiche con l’inglese, mentre il figlio Marcello vive la quotidianità tra amatriciane, piatti da lavare e debiti da saldare.
”Un personaggio “pulp”
Giallini regala l’interpretazione iconica all’interno del film. Annibale è il boss del quartiere, che gestisce traffici tra “strozzinaggio” e case abusive. Protetto dai suoi scagnozzi “Cip e Cioppe”, dirige i lavori con un tavolo fisso, prenotato da sempre all’interno della trattoria. Amico d’infanzia d’Alfredo, innamorato da sempre di Lorena, protegge a modo suo Marcello, richiedendo però che la sua fiducia venga “ripagata”.
Tra una Roma multicolore e la città proibita cinese, due mondi stanno per scontrarsi, conoscersi e amarsi. Mei e Marcello, una guerriera solitaria e un cuoco imbranato, saranno catapultati in un visionario viaggio tra mafia cinese, la grande bellezza di Roma, fughe tra palazzi popolari e chissà? Magari l’amore..
Un Remix contagioso
Gabriele Mainetti, dopo “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Freaks Out” si conferma il regista più visionario e internazionale del cinema italiano. “La città proibita” mixa con intrattenimento di qualità spaghetti western, gongfu movie, vacanze romane e il buon Tarantino. Un plauso va alla scelta del cast, la fotografia di Paolo Carnera ed il coraggio di portare nelle sale cinematografiche un progetto innovativo, che orienta la scelta narrativa ad un remix di generi, magari già visti, ma visivamente spettacolari. Vale il prezzo del biglietto!
Voto 8,5