Recensione – Roma ’24 – Uberto Pasolini torna al cinema con un nuovo adattamento dell’Odissea concentrata nei giorni dell’arrivo di Odisseo ad Itaca. Il film riporta nuovamente sullo schermo insieme la coppia di attori Ralph Fiennes e Juliette Binoche dopo quasi trent’anni dal pluripremiato “Il paziente inglese”. Film interessante. Al cinema dal 30 gennaio 2025.
La trama
Il film diretto da Uberto Pasolini racconta gli ultimi canti dell’Odissea di Omero, il ritorno di Odisseo (Ralph Fiennes) nella sua Itaca, disonorata e depredata dai Proci, bramanti di sposare la regina e sedere sul trono dell’isola. La speranza di un ritorno è tenuta viva dalla tenacia della moglie Penelope (Juliette Binoche), che come il marito, gioca d’astuzia con la tela di un sudario per tenere lontani dal suo letto i pretendenti al regno. Nel cast anche Charlie Plummer, che interpreta il figlio Telemaco, un giovane principe che non ha potuto intraprendere nessun viaggio, costretto a vivere lo sconforto di non aver una guida paterna e difendere la madre e la vita sull’isola. A completare il cast Claudio Santamaria nei panni del pastore Eumeo fido servitore di Itaca e nostalgico del regno di Odisseo.
Spogliato di tutto
Un ritorno anonimo, solitario, spogliato delle sue vesti e del suo onore da Re. Odisseo raggiunge l’isola completamente nudo, salvato dal suo unico servitore Eumeo, che senza chiedere nulla o riconoscere il suo sovrano, lo veste, nutre e protegge dall’isola e dai nobili che la stanno saccheggiando. Odisseo prova a narrare attorno al fuoco l’orrore della guerra, dove l’intuito dello stratagemma del cavallo di Troia viene ritratto come vile astuzia che non giustifica la carneficina di un popolo e la sua città resa a fuoco e fiamme.
Il peccato della guerra è una macchia indelebile nell’anima di Odisseo, il lungo viaggio e la dipartita dei suoi uomini, sofferenze che si porterà nella tomba terrena. Lo sguardo, le inquadrature sul viso scolpito da rughe e gli occhi stanchi, risaltano la sofferenza dell’uomo, non per volere degli Dei, ma per aver abbandonato una moglie, un figlio e una madre terra.

Una moglie, il suo destino e un figlio che cresce senza guida
La tela di un sudario, separa il giorno e la notte, l’integerrima fedeltà o la sottomissione alla follia dei pretendenti al trono di Itaca. Penelope guerriera in patria, come l’inganno di Troia, distrugge la tela cercando di evitare la scelta di un matrimonio con un vile principe dei Proci. Pasolini sceglie di abbandonare la storia epica tradizionale, per una narrazione più intima e realistica, cercando nei silenzi, le inquadrature nella stanza, la sofferenza e la tenacia di una moglie abbandonata al suo destino.
Telemaco, unico vero principe di Itaca, avverte il peso della responsabilità sulla madre, ma indifeso davanti alle richieste e le vessazioni dei Proci. Il suo viaggio, verso la vita adulta comincerà dal ritorno del padre, figura che non riesce a riconoscere. L’assenza di Odisseo influenzerà profondamente la formazione di Telemaco, ma è proprio in questa mancanza che troverà la forza per intraprendere il proprio viaggio di scoperta e crescita personale.

Il rispetto di un’opera
Il plauso a Pasolini va soprattutto al lavoro di ricerca dell’umanità di personaggi epici, tralasciando la mitologia ma evidenziando l’emotività dell’uomo ed un lavoro introspettivo sulle conseguenze psicologiche, il trauma della guerra, ferite, cicatrici interiori, forza, resilienza, crescita personale, famiglia e amore. L’atmosfera cupa e malinconica, le inquadrature delle onde del mare greco, rendono omaggio al tema del ritorno.
Voto: 7