Recensione – Basato sull’omonima autobiografia di J.R. Moehringer, il nuovo film di George Clooney è un classico coming of age, che si lascia guardare volentieri pur senza dire nulla di nuovo. Dal 7 gennaio su Prime Video. 

La storia 

Long Island, inizio anni ’70. Il piccolo J.R. Moehringer (Daniel Ranieri) si trasferisce con la madre (Lily Rabe) nella casa dei nonni, dove vive anche l’adorato zio Charlie (Ben Affleck), gestore di un bar molto frequentato, il The Dickens. Abbandonato poco dopo la nascita dal padre (Max Martini), un conduttore radiofonico senza arte né parte, J.R. cresce con l’affetto della madre, che sogna per lui l’ingresso in una grande università, e soprattutto di Charlie, eterno ragazzo scorbutico ma affettuoso. Anni dopo, quando frequenterà Yale, J.R. (Tye Sheridan) sarà ancora legatissimo ai ricordi d’infanzia e all’educazione ricevuta, stretta tra l’amore materno e i rudi insegnamenti ricevuti, tra un drink e l’altro, nel bar dello zio.

Al suo ottavo film da regista, George Clooney si dedica alla trasposizione dell’omonima autobiografia di J.R. Moehringer, un libro che al tempo della sua uscita, nel 2005, venne definito il migliore dell’anno da diverse testate giornalistiche statunitensi, fra cui il New York Times e Usa Today. Un materiale di base importante, dunque, che ben si prestava a essere trasposto al cinema in un classico coming of age

Un classico coming of age 

Che è esattamente quel che ha fatto Clooney: “The Tender Bar“, con le sue atmosfere anni ’70-’80, con il suo ritmo tranquillo e cadenzato, con i suoi personaggi stralunati ma simpatici, è infatti un film d’altri tempi, un’opera che rinuncia alle scene madri, ai grandi colpi di scena e al ritmo indiavolato di tanto cinema moderno per raccontare invece una piccola storia di provincia, semplice e delicata come solo certe storie di provincia sanno essere.

Abbiamo così un ragazzino intelligente ma traumatizzato dall’assenza della figura paterna, una madre che nonostante la povertà è pronta a tutta per fare in modo che il figlio trovi la sua strada e faccia carriera, uno zio forse un po’ infantile ma disposto ad assumersi la responsabilità di ricoprire il vuoto lasciato dal padre di J.R., un nonno (interpretato dal grande Christopher Lloyd) burbero ma dal cuore d’oro. E abbiamo il Dickens Bar, vera scuola di vita del giovane J.R., che dallo zio barista e dai suoi eccentrici clienti, che rappresenteranno per lui una famiglia allargata, apprenderà come si diventa uomo e attingerà l’ispirazione per quello che diventerà il suo primo libro.

E’ senza dubbio questa dimensione, come esplicitato sin dal titolo, il cuore pulsante del film; meno riuscita è infatti la seconda parte, in cui seguiamo le disavventure di J.R. al college, le amicizie che stringe con gli altri studenti, la tormentata storia d’amore con una ragazza benestante che non è realmente innamorata di lui (Briana Middleton), i tentativi di inserirsi in un contesto sociale più altolocato, dove però è destinato a sentirsi fuori luogo e infine l’inizio della carriera di giornalista.

Un prodotto piacevole ma innocuo

Se da un lato questa classicità dona al film un’apprezzabile patina vintage, dall’altra è pur vero che l’assenza di picchi emotivi e di elementi di originalità rendono il prodotto, per quanto piacevole, piuttosto innocuo e facilmente dimenticabile. La visione scorre bene, ma non riesce mai ad elevarsi da una sorta di piattezza di fondo.

Più che la storia, quel che conta è l’affresco dei personaggi e della dimensione del bar, la descrizione della famiglia allargata che sostiene questo ragazzino abbandonato dal padre; manca però quell’intensità che avrebbe reso la storia della crescita di J.R. memorabile pur nella sua semplicità – perché di fatto la sua è una storia come tante altre.

Il film risente anche della poco brillante interpretazione di Tye Sheridan, che risulta un po’ monocorde e sicuramente meno convincente del piccolo Daniel Ranieri. Molto meglio i comprimari: Ben Affleck azzecca uno dei migliori personaggi della sua carriera ed è stato giustamente candidato ai Golden Globes; Christopher Lloyd e Lily Rabe si confermano due grandi caratteristi.

Voto: 6,5

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