Recensione in anteprima – La storia d’amore (e di finanza) di Patrizia Reggiani e Maurizio Gucci viene raccontata da Ridley Scott fino al tragico epilogo. Un film che vede quasi totalmente protagonista Lady Gaga e che ha nell’interpretazione del cast uno dei suoi punti di forza. Al cinema dal 16 dicembre.

Storia di famiglia

Anni ’70. Patrizia Reggiani (Lady Gaga) conosce a una festa Maurizio Gucci (Adam Driver), rampollo della dinastia Gucci, una tra le piu` celebri nel mondo della moda. Nasce una storia d’amore, dapprima osteggiata dal patriarca della famiglia, Rodolfo Gucci (Jeremy Irons), ma poi arriva il matrimonio e la prole. La sfrenata ambizione della donna, che vorrebbe indirizzare le politiche aziendali del marchio Gucci, la porterà a tessere spericolate strategie, come quelle con lo zio del marito, Aldo Gucci (Al Pacino), che incrineranno i rapporti familiari, innescando una spirale incontrollata di tradimenti, decadenza, vendette. Fino a un tragico epilogo che è cronaca nera, e vera, del nostro paese.

Quella messa in scena da Ridley Scott è la storia degli anni 80 e 90 della famiglia Gucci. Storia controversa e incentrata principalmente sulla protagonista e, al tempo stesso, antagonista della vicenda: Patrizia Reggiani. E’ l’interpretazione di Lady Gaga che comanda tutta l’economia del film e plasma i fatti spesso secondo il suo punto di vista.

La vicenda è nota al pubblico fino al tragico epilogo. Meno noti dovrebbero essere i meccanismi sentimentali, familiari, finanziari che intervengono. Ridley Scott si concentra molto sul lato sentimentale, sulla delusione amore dell’ex moglie Patrizia ma vi è spazio anche per le manovre finanziarie fortemente contrastate all’interno di una famiglia che dimostra di non aver un leader.

L’implosione del potere

La mancanza di un vero leader in casa Gucci lascia spazio a due visioni antitetiche del business di famiglia da parte dei due diversi fratelli. Uno scontro tra due mondi, il mondo di Rodolfo Gucci, fortemente legato alla visione aristocratica del marchio legata al passato tanto da definire i prodotti di casa Gucci:

“Gucci è da museo non da centro commerciale”

e la visione di Aldo Gucci molto più attenta all’attualità, alle nuove prospettive e strategie di mercato. A un Jeremy Irons contenuto, remissivo, malato e misurato come da suo personaggio si contrappone un Al Pacino esuberante, pieno di vita, dinamico, proiettato al futuro e di un’abilità recitativa tale da non essere mai pareggiata da nessun altro membro del cast.

Con il trascorrere degli anni 80 e i primi anni 90 il potere all’interno della famiglia Gucci viene conteso a suon di sotterfugi, macchinazioni, sgarri, liti. Spesso si tratta di decisioni concrete e finanziarie, altre volte si tratta di risentimenti personali, di rivalità tra fratelli, cugini, mariti e mogli.

“House of Gucci” diventa quindi un film che assomiglia molto a una soap opera, con i classici meccanismi del tradimento, del confronto tra sentimenti non più corrisposti, logorando in maniera irreversibile un impero che pian piano sfugge di mano dalla famiglia per finire preda di estranei.

Un cast splendente in una vicenda buia

Un elemento importante dell’intero film è rappresentato dalle location utilizzate per le  riprese. Si tratta principalmente di luoghi abbastanza conosciuti in quel di Milano (ma non solo) con un’attenzione ad auto, vestiti e scenografia dell’epoca molto accurati. Qua e là si sente qualche parola in italiano (abbiamo visto la versione in OV) soprattutto in bocca alle comparse sullo sfondo oppure qualche frase  pronunciata da Lady Gaga che ha assunto una vera e propria insegnante per imparare come poter inserire l’accento italoamericano sia nella parte inglese sia nella parte italiana.

Abbiamo già scritto della gigantesca interpretazione di Al Pacino che dimostra tutto il suo talento, bravura ed esperienza. Altre interpretazioni degne di nota sono quelle di Lady Gaga e di Adam Driver. Mentre stupisce, spesso in negativo, la particolarità del personaggio di Paolo Gucci interpretato da Jared Leto. Quasi un’involontaria macchietta.

“House of Gucci” presenta colori sempre tenui quasi mai brillanti allineandosi via via al grigiore dell’intera vicenda. Il film strizza l’occhio, come detto, alla soap opera ma, a pensarci bene avrebbe ricevuto una dimensione più idonea come serie tv, o almeno miniserie per la quantità di tempo necessario ad approfondire tutti i personaggi e dare anche spazio alle vicende oltre la morte di Maurizio Gucci.

La durata di oltre 2 ore e mezza non è eccessiva per lo spettatore che si appassiona alla vicenda ma potrebbe risultare eccessiva per il pubblico che cerca un film di intrattenimento.

Voto: 6,4

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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