Recensione – Venezia 77 – Fuori Concorso – Il primo lungometraggio diretto da Regina King porta al Lido di Venezia quattro delle figure che hanno fatto la storia della cultura americana del secolo scorso. Distribuito nelle sale americane a Natale, è ora disponibile in streaming sulla piattaforma Amazon Prime Video One Night in Miami.

Quattro personaggi in cerca di trama

Cassius Clay, Malcolm X, Sam Cooke e Jim Brown. Quattro nomi, quattro figure che nei relativi ambiti hanno lasciato un segno indelebile. La sera in cui Cassius Clay è diventato campione dei pesi massimi, i quattro hanno avuto un colloquio privato nella stanza di un motel? Probabilmente no, ma il film di Regina King decide di indagarne le dinamiche ed i potenziali effetti.

Per quasi la sua totalità, il film è ambientato in una stanza dell’Hampton House Motel la sera del 25 febbraio 1964 -serata della storica incoronazione di Clay– e chi popola la stanza sono proprio i quattro sopra citati. Cassius Clay (Eli Goree) è un giovane pugile nero di 22 anni che ha sfondato con il proprio stile nella boxe e si appresta a passare alla storia come uno dei campioni più forti di sempre.

Malcolm X (Kingsley Ben-Adir) è stato tra i principali attivisti politici per la difesa dei diritti degli afroamericani, una figura talmente ispiratrice da essere ancora oggi un punto di riferimento non solo per la comunità afroamericana, ma per chiunque combatta in nome dei diritti civili. Sam Cooke (Leslie Odom Jr) è stato un cantante statunitense all’apice del proprio successo nei primi anni ’60; probabilmente figura poco nota nel nostro paese, egli morì in circostanze mai del tutto chiarite proprio nel 1964, a 33 anni. Jim Brown (Aldis Hodge) è stato un grande campione di football americano ma anche attore, lo si può trovare nei vari Quella sporca dozzina, Mars Attacks!, Ogni maledetta domenica e molti altri. La narrazione è semplice poiché non esiste una vera storia da riportare, bensì un susseguirsi di dialoghi puntuali e illuminanti.

Manifesto della cultura afroamericana degli anni ‘60

I quattro protagonisti incarnano personaggi che visti dall’esterno sono figure idealizzate e sfuggenti a causa della fama e della loro capacità di vedere oltre il loro tempo. Rappresentanti di una comunità alla ribalta, alla ricerca di giustizia e accettazione, devono tutti fare i conti con le loro posizioni socialmente e culturalmente molto delicate. Quella che si mette in luce in questo film è la loro parte più umana, il loro rapporto personale che li lega come amici.

Essi condividono la fama ma hanno, logicamente, visioni della vita e della situazione sociale e politica, contrastanti. Malcolm X, musulmano, sta illustrando a Clay i principi del proprio credo e gli sta mostrando come agire da credente. La storia ci insegna che poi Cassius Clay cambierà il proprio nome in quello di  Muhammed Alì, decisione presa in seguito alla propria conversione all’islam.

Questo è uno degli argomenti affrontati nella vicenda, oltre alla carriera musicale di Cooke e alla sua ammirazione per Bob Dylan, alla voglia di Brown di affrontare la carriera da attore e all’impegno nella lotta per i diritti civili che Malcolm X vorrebbe vedere in tutti i propri compagni. Quattro amici che dialogano, si scontrano e si riavvicinano, protetti da quelle quattro mura, protetti dall’America bianca.

Dalla pièce teatrale al cinema

La vicenda è tratta da una pièce teatrale scritta da Kemp Powers, che ha poi riarrangiato la sua stessa scrittura per renderla una sceneggiatura adatta al cinema. La caratteristica migliore della sua opera è quella di riuscire a mescolare con raffinatezza le vicende storiche ben note con i pensieri e i dialoghi che i quattro personaggi avrebbero potuto condividere. Se tutta la vicenda ci fosse stata raccontata da uno dei protagonisti come un evento successo veramente, non ci stupiremmo del suo racconto.

L’umanità delle paure di Sam Cooke, la voglia di cambiare di Jim Brown, la voglia di scoprire il mondo di un giovane Cassius Clay e la spinta sociale di Malcolm X traspaiono da ogni parola scambiata e da ogni espressione dei sempre puntuali interpreti. L’unica nota negativa che si può riscontrare è quella del focus che il film pone sui continui attacchi di Malcolm X nei confronti di Sam Cooke, circa il suo orientamento verso il mercato discografico yankee e la sua scelta di suonare in locali un tempo interdetti alla popolazione nera (es. il Copacabana).

La figura in generale di Malcom X, anche in merito al suo prossimo allontanamento dalla comunità di cui faceva parte a causa del cambiamento di ideali, rischia di discostarsi troppo dalla reale figura che richiama; una delle critiche mosse al film è appunto quella che Malcolm X fosse una persona molto più dinamica, oralmente aggressiva e feroce di quanto sia resa nel film della King.

Opera giusta per l’anno giusto

Regina King ha diretto un’opera che si proietta già verso la stagione dei premi, pronta a fare incetta di riconoscimenti alla fine di una stagione cinematografica povera di contenuti. La sceneggiatura merita che il proprio valore venga riconosciuto, la direzione della King è puntuale e semplice, riesce a non intromettersi tra i suoi personaggi, nonostante ne indaghi le personalità a fondo.

Le prove degli attori sono tanto riuscite quanto era la difficoltà che si presentava loro; merito degli interpreti è quello di interpretare quattro amici prima che quattro delle più emblematiche figure sociali del secolo scorso.

Il film si inserisce alla perfezione in quello che è stato il 2020: nell’anno del Covid-19 e degli scontri legati al movimento Black Lives Matter, un’opera nella quale il tema della segregazione razziale è trattato nello spazio chiuso di una camera in compagnia di massimo quattro persone sembra essere davvero catalizzatrice degli eventi contemporanei. Una serata tra amici, discutendo liberamente e lasciandosi andare ad un flusso di coscienza che solo nell’intimità di quella stanza si poteva trovare, col mondo fuori, in attesa.

Voto: 7

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