Recensione di Natale – Un racconto immortale, un classico natalizio, nonché una delle opere più celebri di Charles Dickens, il Canto di Natale vanta un numero inimmaginabile di interpretazioni e riadattamenti tra cinema, teatro, fumetto e televisione. Lo abbiamo visto mettere in scena perfino da Topolino, Kermit e Bugs Bunny.

Il Canto di Natale

È la Vigilia di Natale del 1843. Il vecchio Ebenezer Scrooge, finanziere avido ed egoista, riceve in visita lo spettro di Jacob Marley, l’ex socio in affari scomparso esattamente sette anni prima. Tra lamenti e ululati, il fantasma spiega a Scrooge che le pesanti catene che lo cingono sono il risultato di una vita arida senza amore né tempo da dedicare agli altri e che la stessa sorte potrebbe toccare anche a lui. Scrooge però è ancora in tempo per scampare questa condanna: di lì a poco riceverà la visita di tre spiriti, quello del Natale passato, del Natale presente e del Natale futuro, che servendosi di flashback e previsioni lo aiuteranno a salvare la sua anima.

Nel suo Canto di Natale, Robert Zemeckis decide di esaltare l’aspetto visivo, rendendo tangibile un’esperienza onirica e irreale. Zemeckis punta ancora una volta sulla tecnica a lui molto cara della performance capture, grazie alla quale gli attori in carne ed ossa vengono trasformati in personaggi di animazione in tre dimensioni, conservando l’espressività dei volti e dei movimenti. È stato proprio lui ad utilizzarla per la prima volta in Polar Express nel 2004 e poi ancora in Beowulf, nel 2007.

Un viaggio nel tempo e nello spazio 

Quello di Scrooge è un viaggio in tre dimensioni, che sfrutta la totalità dello spazio a disposizione e si muove sfidando i limiti di altezza e profondità. E per capirlo bastano i primi minuti, in cui lo spettatore è lanciato in volo sulle cime dei tetti di Londra, come trascinato dal gelido vento mattutino.

Il cast è poi un altro fiore all’occhiello del film, con Jim Carrey che veste i panni di Scrooge in diverse fasi della sua vita e – in modo molto differente- di tutti e tre gli spiriti, e Gary Oldman che è Jacob Marley, Bob Cratchit e anche il piccolo Tim. La tecnologia li aiuta a mascherarsi, dà loro più elasticità e la possibilità di interpretare più ruoli nello stesso intreccio, ma parliamo di attori che senza alcun dubbio sarebbero stati in grado di offrire un’ottima performance anche in live action.

L’aspetto fisico dei personaggi si basa in larga misura sulle illustrazioni originali, ma l’attenzione al dettaglio non è individuabile solo sul piano visivo: la sceneggiatura si affida completamente al testo originale e i dialoghi, spesso riportati per filo e per segno, rispecchiano fedelmente i toni e le sonorità tipici della Londra dickensiana.

L’atmosfera, dunque, è piuttosto cupa e tenebrosa – quella del Canto di Natale d’altronde è una storia di fantasmi – di conseguenza il risultato finale è quasi un horror, sicuramente non adatto ai più piccoli, perché a tratti è davvero spaventoso e inquietante e il fatto che sia un film d’animazione prodotto da Disney può forse ingannare qualche spettatore troppo giovane.

Una storia sempre moderna 

Quella di Robert Zemeckis è una lezione di letteratura inglese, una versione classica, che non si discosta dall’originale proprio perché non ne sente il bisogno: il messaggio, così come la critica sociale dell’autore ottocentesco non è tutto sommato poi così vecchio e lontano dalla nostra quotidianità.

Voto: 7

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