Recensione in anteprima – Venezia 77 – In concorso – Terzo lungometraggio del regista italiano Claudio Noce che porta sul grande schermo la storia dell’attentato a suo padre Alfonso Noce, vicequestore di Roma, avvenuta il 14 dicembre del 1976. Un film parla di terrorismo e di vita sotto scorta ma che si concentra principalmente sulla visione della vicenda (e i traumi relativi) da parte del figlio Valerio. Al cinema dal 24 settembre.

La storia

Roma, 1976. Valerio Le Rose (Mattia Garaci) è un bambino quando suo padre Alfonso (Pierfrancesco Favino), noto magistrato, subisce un attacco terroristico sotto casa. I genitori pensano che Valerio dorma, invece lui si sveglia e dal balcone assiste a parte della scena, anche se non ne parla con nessuno.

Da quel momento la sua infanzia si consuma nella paura e in un costante stato di allerta, mentre i genitori cercano di celare a lui e alla sua sorellina Alice (Lea Favino) la pericolosità della loro esistenza sotto scorta. E l’antica abitudine di Valerio di inventarsi amici immaginari trova una materializzazione in Christian, un ragazzo di poco più grande ma apparentemente molto meno spaventato dalla vita.

La storia del film si discosta dalla storia reale, rimane l’attentato, il ferimento del vicequestore e tutta la dinamica, molto superficiali, di descrivere quanto accade nella politica e nella società italiana di quegli anni.

Il rapporto padre – figlio

Quello che appare evidente nel film di Claudio Noce è l’attenzione principale al rapporto padre-figlio. E’ qualcosa che il regista conosce bene, viene sviluppato in modo impeccabile e coinvolgente. E’ sicuramente la parte più interessante e meglio riuscita di tutto l’intero film.

“Respira con la pancia”

Questo è il consiglio di papà Alfonso al figlio Valerio quando quest’ultimo ha difficoltà di respirazione a causa dell’ansia e del panico dovuto ai ricordi di quella sparatoria, di quell’attentato.

Sullo sfondo rimane tutta la vicenda relativa ai moventi dell’attentato, alla sua dinamica. Non è certamente l’argomento principale del film. Pian piano prende piede un altro aspetto del carattere di Valerio. La sua fantasia, come quella di ogni bambino, corre veloce e viene descritta con precisi disegni.

Le diverse altezze

Il film inizia con delle inquadrature dall’alto molto suggestive e queste diverse altezze di ripresa e di posizionamento dei personaggi tra loro risultano essere molto interessanti e spesso funzionali alla narrazione. I rimproveri di padre Alfonso arrivano dall’alto mentre lo stesso padre capisce la difficoltà di Valerio e si abbassa al suo livello quanto questo ha bisogno di parole di conforto dritte negli occhi.

Ciò che non funziona sempre bene è l’eccessiva frammentazione di un racconto della vicenda che sembra giocare con lo spettatore nascondendo tutto ciò che meriterebbe di essere chiarito fin da subito. Però abbiamo, nel film, gli occhi del bambino, gli occhi di Valerio che sanno solo ciò che hanno visto e non conoscono la realtà pericolosa del lavoro del padre e della realtà del gruppo terroristico dei Nuclei Armati Proletari.

Troppo lungo forse, “Padrenostro” offre troppo spazio a un’amicizia che, a tratti sembra superflua perchè già preannunciata dalla prima scena. Ottime le interpretazioni del piccolo Mattia Garaci e dell’inossidabile Pierfrancesco Favino. Per la prima volta sul grande schermo anche la figlia Lea Favino, che somiglia moltissimo al padre.

Voto: 6,4

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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