Recensione – Il gigante di ferro è un film d’animazione del 1999, opera prima dell’oggi acclamato regista Brad Bird. Mescolando stili e generi, la storia si basa sull’amicizia di un ragazzino ed un enorme robot di metallo e si sviluppa a metà del secolo scorso, nell’America ossessionata dalla corsa allo spazio e agli armamenti.

Una storia d’amicizia, senza paura del diverso

Hogarth Hughes è un bambino di nove anni che vive a Rockwell, nel Maine, con la madre Annie. Come tutti i bambini Hogarth è curioso del mondo e si appassiona alle creature che incontra, nonostante possano causare trambusto. Vivace, allegro ma di buon cuore egli un giorno incontra Dean al locale dove sua madre lavora come cameriera, con il quale si trova in simpatia; insieme i due sentono per la prima volta un vecchio pescatore parlare dell’incontro con un enorme creatura piovuta dallo spazio.

Hogarth vive fuori città, quindi spesso gioca nei boschi che circondano casa sua. Proprio durante una di queste avventure, una sera il piccolo si trova davanti uno spettacolo tanto eccezionale quanto spaventoso: incontra l’enorme robot metallico di cui aveva sentito parlare, sul punto di morire a causa di un incidente elettrico; infatti il robot attirato dalla centrale elettrica di zona, rischia di morire incastrato tra i cavi dell’alta tensione in piena funzione.

Hogarth mosso da compassione dimostra enorme coraggio e disattiva la fornitura di corrente elettrica spegnendo un grosso interruttore. Il gigante dimostrerà in breve tempo di aver notato e apprezzato il gesto del suo piccolo salvatore e i due inizieranno a stringere una particolare ma autentica amicizia. La missione di Hogarth è quella di proteggere il gigante dal governo americano, impersonato dall’ispettore speciale Kent Mansley disposto a tutto pur di dimostrare ai suoi superiori l’esistenza della creatura aliena, per poi poterla eliminare.

Cinema artigianale, nato come riscatto emotivo

La vicenda ambientata nel 1957 (anno di nascita del regista) nasce da due storie molto tristi che si sono incontrate: da una parte quella di Brad Bird, il quale dopo la scomparsa della sorella a causa di un colpo di pistola pensa

“cosa accadrebbe se un’arma decidesse di non esserlo più?”,

dall’altra quella di Ted Hughes, autore del libro edito nel 1968 L’uomo di ferro, che scrisse appunto la storia nel tentativo di alleviare il dolore della scomparsa della madre ai propri figli. Il regista e co-sceneggiatore cambia molto del soggetto originale, personalizzando la storia e regalandole connotati diversi.

La tecnica utilizzata per il film è quella del disegno a mano, che rende l’opera forse l’ultimo grande film animato a mano. L’unico elemento tracciato con la computer grafica è proprio il gigante di ferro, che nonostante le linee siano state realizzate in modo imperfetto (così da non stonare troppo con il resto) rimane un elemento alieno all’interno del totale componimento.

Animazione e realtà

I temi affrontati dal film sono molteplici e tutti di importanza storica molto rilevante, una caratteristica che nei film d’animazione più recenti è stata abbandonata. Gli Stati Uniti del ’57 sono resi in modo oltremodo fedele, qualsiasi dettaglio è frutto di una minuziosa ricerca da parte dello staff tecnico e riproduce fedelmente l’epoca di appartenenza.

Siamo nell’anno della messa in orbita da parte dell’Unione Sovietica del primo satellite in grado di orbitare intorno alla terra, lo Sputnik 1. Il governo e conseguentemente buona parte della popolazione si sente minacciata da questo primato sovietico e vive dunque un periodo di paura, che trova sfogo nello scontro armato. Il film mostra chiaramente come il bisogno di prevalsa di alcuni componenti dell’esercito americano sia la causa di ignoranza verso il mondo esterno. L’ignoranza e l’arroganza unite ai conseguimenti tecnologici nell’armamentario militare sono gli ingredienti per la distruzione di qualsiasi cosa estranea, nociva o no.

Grazie alla chiarezza espositiva e all’irrequietezza che il regista riesce ad attribuire al film, esso è diventato ben presto un cult del genere d’animazione, e non solo. Il gigante di ferro è entrato nell’immaginario comune e negli anni a seguire è stato citato e omaggiato da numerose opere, l’ultima in ordine cronologico l’imponente dichiarazione d’amore all’immaginario sci-fi di Steven Spielberg (mentore di Brad Bird), Ready Player one.

Voto: 7.5

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