Recensione – A nove anni dall’esordio con Dieci inverni, Valerio Mieli torna in sala con una storia d’amore e memoria, ricordi reali e immaginati, luoghi conosciuti e posti dell’anima, emozioni provate e desiderate, vite vissute e raccontate. Luca Marinelli e Linda Caridi incarnano una coppia che è tutte le coppie e il viaggio nel tempo del loro amore attraverso la soggettività del ricordo. Film vincitore del premio del pubblico alle Giornate degli Autori della Mostra del Cinema di Venezia 2018 e nei cinema dal 21 marzo.

La ri-costruzione di un amore

Lui (Luca Marinelli), ombroso e nostalgico professore di storia antica, e Lei (Linda Caridi), insegnante di liceo sorridente e sempre ottimista, si incontrano a una festa, si innamorano, iniziano una relazione, poi si lasciano e poi chissà. Nasce così una storia sempre diversa, un racconto narrato con le immagini dei loro ricordi, che si mescolano tra realtà, finzione e memoria distorta dai sentimenti e dal tempo che passa.

Valerio Mieli torna a mettere in scena la storia di un amore giovane, ma non la sua costruzione nel tempo (e nello spazio) come nel primo lungometraggio Dieci inverni, quanto la sua ri-costruzione, o meglio, l’impossibilità di essa, attraverso il ricordo. Il montaggio fluido di Desideria Rayner restituisce così un universo atemporale in cui episodi, vicende e sentimenti sono rivissuti e ricostruiti per mezzo del filtro emotivo ora dell’uno ora dell’altro protagonista, personalità che si completano e si influenzano ma partono da posizioni caratteriali volutamente estreme e antitetiche.

Una malinconia che scivola spesso nella depressione per Lui e una felicità molto naïve per Lei, condizionano il loro intendere la vita e l’amore: se per lui tutto è destinato a finire e “il ricordo mente perché rende belle delle cose che non lo erano”, per lei invece il senso della vita sta nel viverla ogni giorno con entusiasmo, senza riuscire a trattenere (quasi fisiologicamente) dei brutti ricordi, dato che “le cose sono belle proprio perché sai che finiscono”.

Questione di punti di vista

Sequenze oniriche ci restituiscono la quotidianità di una storia, i suoi alti e bassi, spaesando lo spettatore in un flusso di parole e immagini che, così come le vediamo, potrebbero essere tanto reali quanto immaginate. L’elemento simbolico è una costante per “accendere” di volta in volta il punto di vista e le emozioni dell’uno o dell’altra, tramite l’uso delle luci e dei colori, l’abbigliamento dei protagonisti, i luoghi visitati e quelli abitati: il parco dei Mostri di Bomarzo reso ancora più misterioso dalla nebbia, il vapore delle terme, i parchi di Roma inondati di sole, la casa dove i due si trasferiscono, invasa dal disordine felice di un trasloco che fa iniziare una nuova vita.

Lui e Lei imparano a conoscersi e si innamorano nonostante o proprio grazie al loro essere così distanti, condividono ferite del passato, cicatrici del presente, ma il tempo che passa finirà per cambiare le carte in tavola, per regalare a lui un po’ più di speranza e a lei un po’ più di disillusione proprio quando si stanno allontanando, portandoli a confondersi l’uno nell’altra e a non riconoscersi più. Intorno a loro prendono forma persone che sono anch’esse ricordi, forse immaginate tra le righe di una poesia scritta da bambini o cercate in un giorno di pioggia.

Ricordi?

Nei ricordi di Lui e Lei, si ritrovano allora, tutti i ricordi – sempre ingannevoli – delle storie d’amore. Sembra riecheggiare quello che scriveva García Márquez raccontando, proprio sul filo del ricordo, un amore che resiste al tempo, quando un altro Lui

“era ancora troppo giovane per sapere che la memoria del cuore elimina i brutti ricordi e magnifica quelli belli, e che grazie a tale artificio riusciamo a tollerare il passato”, ma dal confronto con la realtà “capì fino a che punto era stato una vittima facile dei tranelli caritatevoli della nostalgia.”

Luca Marinelli dà corpo, con il solito talento, a un romantico tormentato, un nostalgico pessimista che prova a cambiare, ma in una vecchia profumeria cade sotto i colpi del senso più potente che lo trascina via lontano, tra i ricordi di un amore forse perduto; Linda Caridi interpreta con delicatezza un sole abbagliante e ingenuo che all’improvviso scompare per lasciar posto alla tempesta.

Ricordi? prova a raccontare come ricordiamo i ricordi e in particolare quelli legati all’amore, inserendosi nella tradizione cinematografica che va da L’anno scorso a Marienbad, fino ai più recenti Se mi lasci ti cancello e (500) giorni insieme e agli ultimi film di Malick. Valerio Mieli realizza però un’opera che trova un proprio registro e, nonostante alcuni dialoghi insistenti e alcune scene forse troppo ripetitive, si snoda come un’esperienza evocativa a cui lasciarsi andare.

Così come il flusso incontrollato e incontrollabile della memoria che non riposa, cataloga gli eventi dopo averli trasformati in personalissimi ricordi, ma consulta incessantemente i propri archivi ordinati tra passato e futuro secondo criteri segreti, anche Ricordi? scorre e si ripete, ritorna e va avanti veloce, e forse per questo fatica a trovare un finale, ma lo ritarda, lo sdoppia, lo rincorre (anche nei coloratissimi ed emblematici titoli di coda) sperando non avvenga mai.

Voto: 7,2

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