Recensione in anteprima – Adam McKay torna al cinema dopo il successo de “La grande scommessa”. Un ritorno sempre sulla falsa riga del precedente lavoro. La focalizzazione su un solo argomento: la vita politica di Dick Cheney in questo caso, raccontata con ironia, concentrandosi su molti fatti, velocemente e poche importanti sensazioni. Al cinema dal 3 gennaio.

Christian Bale as Dick Cheney in Adam McKay’s VICE, an Annapurna Pictures release. Credit : Annapurna Pictures 2018 © Annapurna Pictures, LLC. All Rights Reserved.

Gli inizi e il potere

Negli anni Settanta Dick Cheney (Christian Bale) sta con una ragazza davvero in gamba, Lynne (Amy Adams), che riesce a farlo ammettere all’Università, dove lui però viene travolto dal gozzovigliare da college e, tra una sbornia e l’altra, finisce per farsi espellere. Non contento, continua a bere anche mentre lavora ai pali della corrente elettrica, finisce in una rissa e viene arrestato per guida in stato di ebrezza.

A quel punto Lynne gli dà un ultimatum: o diventa la persona di potere che lei in quanto donna non può essere ma può aiutare e guidare, oppure tra loro è finita. La storia è nota: i due diventeranno una “power couple” di Washington e domineranno placidamente, quasi nell’ombra, l’amministrazione di George W. Bush, tra le più controverse per la democrazia americana.

“Vice” inizia con la crisi dell’11 settembre. L’allora vicepresidente Cheney deve decidere come muoversi ed è attorniato dai fedelissimi del suo entourage. Il presidente Bush Jr. come sappiamo è al famoso incontro scolastico. Si capisce che il vero potere è in mano a Cheney. La scena poi si ripeterà verso la fine del film nel montaggio assai elaborato e che non lascia nulla al caso di Hank Corwin. La regia di Adam McKay infatti spazia il racconto tra le diverse decadi di influenza di Cheney nella politica americana mantenendo un minimo di cronologia ma sorprendendo per l’arguzia con la quale vengono intramezzati i vari eventi e la vita privata di Dick Cheney.

Il sogno americano fino alla fine

Verso la metà del film, o poco più, iniziano i titoli di coda. Questa particolarità segna la fine del racconto di un uomo che insegue il sogno americano di realizzarsi nella vita. Per Dick Cheney sarà la realizzazione nella vita politica e nella vita privata. Dick Cheney ha tutto. Fama, famiglia, potere, posizione economica. Tutto sembra essere perfetto, o quasi. Da semplice stagista sotto le dipendenze di Donald Rumsfeld (Steve Carell) a vicepresidente sotto l’amministrazione George W. Bush (Sam Rockwell).

Nella seconda parte vi è un racconto con maggiori ombre. Da quelle sulla politica estera poco chiara e controversa durante la seconda guerra in Iraq alla situazione famigliare con le ambizioni e le inclinazioni delle figlie.

Viene messo sempre più in evidenza l’ammaliante forza delle posizioni di potere. Anche attraverso schemi semplici che spiegano al pubblico quanto accade si ha la perfetta fotografica della voglia di Dick Cheney di voler controllare ogni punto nevralgico dell’amministrazione Bush. Dal controllo diretto al controllo indiretto con uomini e donne (poche) di sua fiducia. Oppure creando nuove posizioni intermedie sulle quali posizionarsi.

Christian Bale e il resto del cast

Accanto a un singolare e interessante montaggio, a una regia molto ben curata abbiamo delle interpretazioni ampiamente sopra la media. Christian Bale si trasforma letteralmente in Dick Cheney grazie al lavoro sul suo corpo, al trucco sul suo viso e a un dettagliato studio della postura, della camminata, del linguaggio, della tonalità e dell’espressività dell’uomo politico.

La trasformazione di Christian Bale è uno degli elementi migliori del film. L’interpretazione dell’attore britannico è particolarmente apprezzabile ma non è il solo a esprimere una prova molto convincente.

Oltre a Christian Bale abbiamo la bella prova di Amy Adams e la sempre impeccabile interpretazione di Steve Carell nei panni di Donald Rumsfeld. Sorprendente risulta anche la prova di Sam Rockwell nelle vesti di George W. Bush.

Voto: 7,6

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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