Recensione in anteprima – Ennesima riproposizione di Robin Hood al cinema. Questa volta gli intenti sono chiarissimi fin dall’inizio: non è la solita storia. E infatti “Robin Hood – L’origine della leggenda” sembra più un “Batman Begins” senza Nolan, la genesi di un supereroe con fantomatici superpoteri in un contesto esageratamente modernizzato per essere l’Inghilterra medievale ai tempi delle crociate. Al cinema dal 22 novembre.

Robin di Loxley (Taron Egerton) viene chiamato a servire nella terza crociata in Terra santa e lo ritroviamo insieme ai suoi commilitoni in una città in rovina, bloccato sotto il fuoco nemico di una potentissima balestra automatica. Robin sarà incaricato di neutralizzarla e in questa operazione si imbatte in un abile arciere e guerriero, che avrebbe la meglio su di lui se non venisse colpito alle spalle da Guy (Paul Anderson), il capitano di Robin.

Quando questi minaccia di uccidere il figlio del prigioniero, Robin non riesce a stare a guardare e si mette in mezzo. La sua diserzione è punita con il ritorno a casa in disgrazia dove lo aspetta una Loxley caduta in rovina. Inoltre Robin è stato dato per morto da almeno due anni e la sua amata Marian (Eve Hewson) si è trovata un nuovo compagno, Will Scarlet (Jamie Dornan). Il tutto mentre il pugno di ferro dello Sceriffo di Nottingham (Ben Meddelsohn), stretto alleato della Chiesa cattolica, spreme sempre più duramente un popolo ormai esasperato.

Più di Robin e quasi come Batman, pensando ad Iron Man

E’ facile accostare il Robin del “Batman e Robin” con il Robin di Loxley (Hood) protagonista di questo film. Si tratta di un Robin che vuole tanto essere quel Batman. Il film è strutturato in modo tale da ripercorrere tutte le tappe che trasformano un cittadino comune in un supereroe. Abbiamo quindi la vita agiata di Robin di Loxley nel suo castello che somiglia molto alla vita di Bruce Wayne nella sua residenza con la presenza di un’amata che, invece, strizza l’occhio alla situazione del Toni Stark di “Iron Man”.

Vi è poi il trauma della chiamata alle armi per le Crociate, molto più simili a una battaglia alla “Desert Storm” degli anni novanta per dinamica. Il ritorno a casa per ricostruire una propria vita votata alla difesa della giustizia e dei più deboli. In pratica un nuovo Robin Hood che toglie la calzamaglia e indossa il costume da supereroe con tanto di addestramento e capacità fuori dal normale e più vicine ad Arrow.

Bisogna anche dire che l’incipit del film è molto chiaro, si fa sapere inequivocabilmente allo spettatore che la storia del Robin Hood che conosciamo non è quella che verrà narrata. Tutta un’altra storia quindi, puerile difesa di un tentativo maldestro e poco riuscito di riattualizzare la figura di un eroe popolare con tematiche forse, troppo moderne.

Modelli e abiti da passerella

Di questa modernizzazione ne risente anche l’ambientazione e, soprattutto trucco, costumi, acconciature e caratteri dei vari personaggi. I costumi, molto belli, stonano tremendamente con il periodo storico e la condizione di molti popolani. Se si può ben pensare che i ricchi e il Robin di Loxley possano apparire sempre impeccabilmente come  modelli sulla passerella, tutt’altro si può pensare di gente del popolo che, derubata dei pochi soldi che ha appare comunque estremamente in ordine con trucco, parrucco e nemmeno il vestito sgualcito.

Taron Egerton, la bella Memphis Eve Sunny Day Hewson, e Jamie Dornan appaio più come modelli, opportunamente palestrati nel caso di Taron Egerton e inseriti in un ambiente tendenzialmente poco credibili a livello sociale. Complice anche la sceneggiatura scialba e noiosa che non offere nulla di originale l’interpretazione dei tre non spicca particolarmente.

Una prova incolore, anzi sempre con lo stesso colore, il grigio, per Ben Madelsohn, il cattivo di turno che accenna anche a fantomatiche violenze subite da bambino e legate all’ambiente ecclesiastico. Argomento importante ma fuori luogo per il tenore del film che prende da subito una strada tutta sua, involontariamente vicina alla parodia non divertente rispetto alle intenzioni di spettacolarizzazione e nascita di un nuovo eroe moderno.

La rivoluzione (industriale) alla “Fast and Furious”

“Robin Hood – L’origine della leggenda” non si preoccupa dell’accuratezza storica di un periodo a cavallo delle Crociate, quindi intorno al dodicesimo secolo. Lo si evince dall’avanguardia tecnologica di cui è permeata tutta la cittadina di Nottingham. Non qualcosa di volutamente evidente ma, tendenzialmente fuori luogo. Da fornaci che sembrano più simili a fabbriche della rivoluzione industriale a una continua sensazione che ci si possa trovare di fronte a una società distopica post apocalittica.

Un altro elemento sul quale il film concentra molto la sua attenzione riguarda le scene d’azione e la spettacolarizzazione delle stesse. Scene al limite dell’assurdo e dell’inspiegabile. Infarcite di rallenty volutamente sensazionalistici ci si trova così ad assistere a carri con cavalli che sfondano portoni di legno massiccio, esplosioni a ogni piè sospinto, frecce che oltrepassano la roccia, guarigioni lampo, salti da altezze impressionanti senza riportare un graffio, e molto altro. Insomma un film più simile a “Fast and Furious” a cavallo.

Questo nuovo Robin Hood, in fin dei conti è un film pensato male e realizzato anche peggio. Sarebbe stato più opportuno creare realmente un nuovo personaggio che avrebbe potuto prendere spunto dal Robin di Loxely originale, e produrne una serie tv distopica. Il risultato finale è un guazzabuglio di scene senza senso che punta molto sulla dimensione enfatica e ipervalorizzata di un eroe per assurgerlo a neo supereroe in modalità cinecomic. Un’operazione sottolineata da una regia che bada a sbalordire con panoramiche e inquadrature fintamente ricercate e che lascia, come tutti i cinecomic, una porta aperta per un possibile sequel.

Voto: 3,2

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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