Recensione in anteprima – Roma 13 – Selezione Ufficiale – Film d’apertura della Festa del Cinema di Roma del 2018 per la regia di Drew Goddard. Un film molto articolato che incuriosisce fin da subito anche grazie alla sua ambientazione letteralmente a metà tra lo stato del Nevada e la California. Alcuni passaggi appesantiscono la visione e i molteplici finali allungano eccessivamente la seconda parte. Un film “alla Tarantino” che esce nei cinema il 25 ottobre.

Jeff Bridges and Cynthia Erivo star in a scene from the movie “Bad Times at the El Royale.” (CNS photo/Fox) Oct.

Anni Sessanta. Un uomo affitta una stanza all’hotel El Royale nascondendo una borsa voluminosa sotto le assi del pavimento. Pochi attimi dopo viene ucciso da un altro uomo, la cui identità rimane misteriosa. Dieci anni dopo alcuni clienti decidono di soggiornare nello stesso albergo, che si trova all’esatto confine fra la California e il Nevada, al punto che una striscia rossa divide fisicamente a metà gli spazi: da un lato le camere in Nevada – lo stato del vizio, dell’illegalità e del gioco d’azzardo – dall’altro quelle in California – lo stato dell’amore libero, della contestazione e di Hollywood.

Uno dopo l’altro i personaggi riveleranno la loro vera natura: perché in 7 sconosciuti a El Royale non bisogna tanto seguire il flusso del denaro quanto le motivazioni che hanno portato ognuno dei presenti (compreso il concierge) in quel luogo isolato al confine fra il Bene e il Male. Vale la pena tenere presente in quale epoca storica ci troviamo: la guerra nel Vietnam, i proclami di Nixon, le spie di J. Egard Hoover, le battaglie per i diritti civili.

Hate (not) full Seven

Sin dal trailer “Sette sconosciuti a El Royale” ha una dinamica di ritrovo verso un unico luogo che ricorda molto “Hateful Eight” di Quentin Tarantino. Il più volte citato film del regista americano sembra essere uno spunto iniziale che si tramuta in una dinamica pulp mescolando elementi di thriller, turbe psichiche e sofferenze sociali.

La divisione dell’hotel in due stati diversi, la linea di confine labile, il gioco dell’indecisione costante tra ciò che lo spettatore può intendere come bene o male continuano a esprimere una visione del regista sempre dicotomica. C’è hate, odio, nelle parole e negli atteggiamenti di alcuni personaggi. E’ molto più misurato e contenuto in altri, anche in chi, come Miles Miller (Lewis Pullman) è il concierge che a tutto provvede.

Le vite dei sei personaggi più uno si intrecciano in hotel e sono le più disparate possibili. L’arrivo stesso è una dimostrazione di quanto diversi, apparentemente, sono i loro percorsi. Drew Goddard, grazie a un utilizzo della macchina da presa molto oculato alterna grandi visioni panoramiche dell’hotel con primissimi piani di visi, azioni, particolari.

Mondi al confine

La particolarità, impossibile nella realtà, di avere un hotel perfettamente diviso in due parti dal confine tra due stati è spunto, non perfettamente sfruttato, per fare una riflessione tra odio e amore, anzi tra bene e male. E’ molto più incisivo il pensiero riguardo a una divisione, tutta inventata dall’uomo, tra bianchi e neri, tra colori di pelle e nazioni differenti quando si ha un mondo intero di diversità che hanno la possibilità di esprimersi.

I 7 personaggi che man mano conosciamo sono rappresentati da un cast vario ed eccezionale. Su tutti svetta Jeff Bridges che interpreta il prete Daniel Flynn. Altra ottima interpretazione è data da Cynthia Erivo, l’attrice e cantante britannica da’ prova della sua indiscussa abilità canora contribuendo a rendere  Darlene Sweet uno dei personaggi meglio riusciti.

A un Chris Hemsworth che gioca molto bene col suo personaggio e appare in tutta la sua presenza fisica in “Thor style” (è praticamente a torso nudo in tutte le scene) si contrappone una spaesata Dakota Johnson ancora totalmente priva di qualsivoglia vetta recitativa.

“7 sconosciuti a El Royale” è anche crocevia di diverse situazioni politiche e sociali che fanno da sfondo all’intera vicenda. Sono situazioni che non vengono affrontate direttamente ma che vengono presentate allo spettatore attraverso la tv dell’hotel o la reazione dei personaggi coinvolti.

Flashback e punti di vista molteplici

Tutto il film è costruito grazie a numerosi flashback che riguardano la vita di ogni personaggio e giustificano la presenza in hotel. Alcune scene sono anche riprese da diversi punti di vista di due, tre, anche quattro personaggi.

Il tutto, ogni volta, rischia di appesantire la visione che sfora le due ore e venti minuti. Il più delle volte invece questo gioco di montaggio aggiunge interessanti dettagli che completano il puzzle a più mani e i molteplici pezzi di cui è composto. Il finale rimane intenso nell’esecuzione ma un po’ forzato nella motivazione più o meno esplicita.

“7 sconosciuti a El Royale” è sicuramente un film interessante, un film da “festa” piuttosto che da “festival” e ha tutte le carte in regola per piacere agli appassionati dell’horror splatter senza mai essere pauroso e agli amanti di Quentin Tarantino che ritroveranno in questo film alcuni degli elementi del loro regista preferito.

Voto: 7,3

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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