Recensione 20 anni – Esattamente 20 anni fa, il 1 maggio 1998, usciva Il Grande Lebowski, film cult dei fratelli Coen che è entrato nella classifica dei migliori film degli anni 90, inserito negli annali della storia del cinema e che ancora oggi è una fonte di ispirazione così influente da essere diventato un culto. Si tratta di una pietra miliare del cinema d’autore che ha consacrato il talento dei fratelli Joel e Ethan anche grazie ad un cast eccezionale capitanato da un credibilissimo Jeff Bridges. The Big Lebowski è una perfetta raffigurazione di quella fetta d’America che vive ai margini della società, trasandata, pazza, allucinata, fuori dal comune a  volte politically incorrect che diverte. È una produzione di alto livello con una costruzione e un’estetica inconfondibile, e non solo… è una vera e propria lezione di cinema.

La storia dei Lebowski

In una pazza Los Angeles di inizio anni 90, Jeffrey Lebowski aka Drugo (n.b. nessun richiamo ad ‘Arancia Meccanica’ – interpretato da un pazzesco Jeff Bridges) è un nullafacente californiano. Un uomo asociale che vive alla giornata, tra un bicchiere di White Russian, marijuana e partite a bowling. Passione che condivide con i suoi inseparabili amici Theodore Donald alias Donny (un grandissimo Steve Buscemi), una persona pacata dalle poche parole, e Walter (John Goodman), un uomo sui generis, un po’ violento e imprevedibile, veterano della guerra del Vietnam. Oltre a questo stravagante trio ci sono anche – in veloci apparizioni – Jesus Quintana (John Turturro), un eccentrico concorrente latino-americano di un torneo di bowling e uno stravagante Jackie Treehorn (Ben Gazzara) uomo potente dell’industria del porno con cui Drugo dovrà fare i conti a causa di un incomprensione.

Tutto il film è un viaggio fra pazzia e droghe. Un percorso fra viaggi sballati così matti e surreali da rasentare l’onirico in cui realtà e fantasia si mischiano. È un mondo fatto di outsider, uomini bizzarri, disoccupati che vivono lunghe giornate e pazzesche avventure rocambolesche. Figura cardine di tutta la pellicola è il Signor Jeffrey Lebowski (David Huddleston), ovvero l’alter ego di Drugo, un reduce dal Vietnam, ricco e potente magnate con una vita perfetta. Lui è tutto ciò che Jeffrey avrebbe voluto essere ma che non è mai diventato.

La chiave di tutta la pellicola è proprio questo malinteso iniziale – conflitto/ scontro tra due mondi diversi: fra la vita ‘sballata’ di Drugo/ Lebowski e la ‘perfezione’ di Jeffrey/ Lebowski. Tuttavia ciò che rimane allo spettatore è molto di più ed è un messaggio molto importante, quasi una filosofia di vita: per essere felici bisogna vivere la propria esistenza come viene e accettarla così com’è.

Prima de “Il grande Lebowski”

Reduci dal grande successo di ‘Fargo’ – film del 1996 con 7 Nomination e 2 Oscar vinti, da cui è stato anche tratto la serie tv su FX – i fratelli Coen tornarono a firmare una produzione che rappresenta perfettamente il loro modo di fare cinema. Tutta la pellicola è caratterizzata da una coerenza, precisione e studio chirurgico di ogni aspetto. L’ambientazione californiana, l’immagine e l’estetica in generale, un’attenta costruzione dei personaggi, ognuno con un look e caratteristiche ben precise, fino alla cura in ogni minimo dettaglio delle inquadrature, della fotografia, la scelta cromatica, le luci fino alle musiche country e folk che accompagnano in tutta la storia.

Ogni elemento rimanda ad un immagine ben precisa nella mente dei registi che hanno creato la loro personale rivisitazione del genere noir ma in chiave comica. In particolar modo, ogni personaggio di questo cast corale che ruota attorno a Drugo ‘The Dude’ è un tassello fondamentale che compone un disegno ben preciso nella mente dei registi. È da segnalare che oltre al trio Jeffrey-Donny-Walter, impreziosiscono il cast anche Maude Lebowski (una giovane e bellissima Julienne Moore) figlia di Lebowski e Brandt (Philip Seymour Hoffman) assistente sempre dello stesso.

Non possono sfuggire all’occhio più attento i rimandi e i richiami al grande cinema di Quentin Tarantino – in alcune scene è evidente un collegamento con il feticismo tarantiniano – e alla figura del Sergente Maggiore Hartman in ‘Full Metal Jacket’ di Stanley Kubrick. In particolar modo è evidente un certo riferimento della trama al film del 1946 ‘Il grande sonno’ di Howard Hawks – a sua volta ispirato dal romanzo di Raymond Chandler.

Il grande Lebowski e gli anni 90

La seconda metà degli anni 90 è stato un periodo ricco di produzioni inerenti alla droga e a “viaggi allucinogeni”. Bisogna ricordare che nello stesso anno de ‘Il Grande Lebowski’ uscì anche un altro film divenuto culto. L’on the road allucinato caratterizzato da droga e pazzia, ‘Paura e Delirio a Las Vegas’ con Johnny Depp e Benicio del Toro e che due anni prima, nel 1996, uscì ‘Trainspotting’ con Ewan McGregor, film emblema della gioventù bruciata e drogata della Scozia di quegli anni. Ma ‘Il Grande Lebowski’ e tutti questi film non sono solo sostanze stupefacenti, alienazione e follia. Il vero tema, il filo rouge è quello della critica sociale e raffigurazione del disagio di una certa generazione che vive un’esistenza incerta.

Questa pellicola rientra perfettamente in questo filone di film emblematici che racchiudono nel loro profondo un’analisi della società – in questo caso in chiave ironica -, di film dal forte impatto collettivo, che hanno segnato in modo indelebile un’epoca e la memoria degli spettatori. È una produzione che ha avuto una fortissima influenza culturale e che, nonostante i suoi vent’anni, è ancora oggi fonte di ispirazione per molti cineasti e ha un grande fandom al seguito. Impossibile non citare il Lebowski Bar a Reykjavìk in Islanda, il Lebowski Fest, festival che si ripete annualmente dal 2002, e la creazione di un credo religioso incentrato sulla filosofia e credo di Drugo – Il Dudeismo. Un film da vedere assolutamente.

Voto: 8.5

Di Sabrina Pusterla

Interessata di media ed entertainment. Da sempre una eterna cinefila, amo il cinema a 360°. Mi piace visionare, analizzare e parlare dei film. Progetti? Tanti. Sogni nel cassetto? Troppi. Spero un giorno di pubblicare un libro ed un podcast in cui parlo della settima arte. "Non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima." (Cit. Ingmar Bergman)

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