Recensione – 50 anni – Il 10 aprile 1968 esce nei cinema italiani “Il pianeta delle scimmie” di Franklin J. Schaffner con protagonista il premio Oscar Charlton Heston. Tratto dal romanzo di Pierre Boulle se ne discosta in molti aspetti ma rimane quel senso innovativo di trattare il tema della relazione uomo-animale da un punto di vista ribaltato. 

George Taylor è interpretato da Charlton Heston è già abituato  a recitare a torso nudo sulle bighe di Ben Hur (premio Oscar come miglior attore protagonista), precipita con la sua navicella, insieme ad altri tre compagni di sventura, su un pianeta ignoto. I naufraghi scopriranno, nel modo più traumatico, che questo mondo è governato da scimmie evolute e che gli uomini sono i loro schiavi. Il colonnello Taylor diventa qui il giocattolo di un popolo di scimmie una sorta di loro cavia, ma grazie alla dottoressa Zira (Kim Hunter) riuscirà ad affermare il suo ego e ad elevarsi al di sopra di semplice animale. L’orgoglio indomito della razza umana, di cui Taylor è il perfetto archetipo, lo porterà a scontrarsi contro l’elite del pianeta, guidata dal Dr. Zaius (Maurice Evans), un’elite ottusa e decisa a conservare i propri privilegi. Il libro da cui è tratto il film prevedeva che il popolo delle scimmie fosse decisamente più evoluto degli umani, ma i costi da sostenere per le scenografie e quant’altro sarebbero stati troppo elevati per la produzione, che optò per una civiltà scimmiesca di stampo “medioevale”. Il finale, è forse, uno dei meno consolatori e più disturbanti descritti fino a quel momento.

“…E questo completa il mio ultimo rapporto prima di toccare la meta. Ora la navigazione è totalmente automatica: siamo nelle mani dei calcolatori. Ho sprofondato l’equipaggio in un lungo sonno in cui li raggiungerò presto. Fra meno di un’ora saranno sei mesi che abbiamo lasciato Cape Kennedy. Sei mesi nei profondi spazi. Questo secondo il nostro tempo, secondo la teoria del tempo del professor Hasslein, dato che viaggiamo quasi alla velocità della luce, la Terra è invecchiata di settecento anni da quando siamo partiti… Invece noi, giusto di sei mesi! …Sarà così. Certo è che, se la teoria è esatta, gli uomini che ci hanno spediti quassù sono morti e sepolti da un pezzo, voi che mi state ascoltando ora siete una razza diversa… E spero che sia migliore! Io lascio il ventesimo secolo senza alcun rimpianto. Ma un’altra cosa, sempre che qualcuno mi stia ascoltando, non è niente di scientifico, è puramente personale… Visto di qui… Tutto sembra così diverso. Il tempo, lo spazio qui perdono… Di significato. L’individualità è annientata. Io… Mi sento solo… Ecco fatto. Però ditemi: l’uomo, quella meraviglia dell’universo, l’ineffabile paradosso che ha spedito me fra le stelle, fa ancora la guerra contro i suoi fratelli? Lascia morire di fame i figli del suo vicino?

Questo l’incipit del film, quale breve spiegazione della situazione e una delle poche note di speranza verso un’umanità che, all’interno di tutto il film viene messa a dura prova da un giudizio per noi “animale”, nell’ipotesi che la situazione tra uomo e scimmie il rapporto si possa ribaltare.

“Il pianeta delle scimmie” arriva in Italia a pochi giorni di distanza da un capolavoro indiscusso della cinematografia mondiale “2001: Odissea nello spazio”. Oscurato dall’opera di Stanley Kubrick a livello mediatico lo è anche a livello artistico con una evidente differenza in termini di scenografie, effetti speciali, fotografia e regia.

Il film di Franklin J. Schaffner però ha il pregio di capovolgere il discorso relativo all’esplorazione dell’uomo tanto in voga in quegli anni. Il progresso della scienza e della tecnica che ha nella corsa allo spazio la sua gara tra USA e URSS influenza non poco la fantascienza di quegli anni e dei film di questo genere. “Il pianeta delle scimmie” però, prendendo spunto dal romanzo omonimo di Pierre Boulle, ha solo il pretesto della corsa allo spazio, si interroga piuttosto, in un futuro post-apocalittico, sulle possibili conseguenze di un uso estremo e pericoloso della tecnologia a discapito della natura e degli altri esseri viventi che abitano la terra.

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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