Recensione – In questo travolgente musical Hugh Jackman interpreta P.T. Barnum lo stravagante ideatore dello spettacolo circense. Grazie alle ottime qualità di Jackman, Efron, Zendaya e di tutto il cast ci si diverte, si sogna e ci si commuove quanto basta per un buon film che non ha pretese di essere un capolavoro.

Inizio Ottocento. Phineas Taylor Barnum (Hugh Jackman) è il figlio di un sarto che muore catapultando il bambino nel buio di un’infanzia dickensiana. Ma P.T. crede nel sogno americano di inventarsi un’identità nobile ritagliata dalla stoffa dei sogni, e il suo amore di gioventù, la dolce Charity (Michelle Williams), abbandona i privilegi della propria casta per seguire le visioni di quello che diventerà suo marito e il padre delle loro due figlie. Per Barnum, convinto che ogni progetto debba essere realizzato “cinque volte più grande, e dappertutto”, nulla è abbastanza: non il Museo delle stranezze che edifica nel centro di Manhattan per lo sgomento (e la curiosità morbosa) dei newyorkesi, non il circo che porta il suo nome in cui si esibiscono la donna barbuta e il gigante irlandese, il nano Tom Thumb e i gemeli siamesi. Perché quando P.T. Barnum “sta arrivando”, lo fa come un ciclone inarrestabile che travolge ogni cosa al suo passaggio: steccati e ipocrisie, ma anche legami e sentimenti.

Condensare in un film il coraggio, la spavalderia, la visionarietà e imprenditorialità di un precursore dello spettacolo ai massimi livelli come P.T. Barnum non è cosa semplice, e, infatti nessun film potrebbe farlo adeguatamente. “The Greatest Showman” si concentra sul lato spettacolare del lavoro di Barnum e rende il film stesso uno spettacolo per gli occhi e per le orecchie.

Hugh Jackman and Michelle Williams star in Twentieth Century Fox’s “The Greatest Showman.”

Mentre sto scrivendo, infatti, sto riascoltando tutte le canzoni che compongono la colonna sonora del film. Musiche orecchiabili e che rimangono in testa. Hanno tutte una struttura abbastanza simile: un inizio lento quasi a sussurrare la situazione triste di chi canta, un crescendo ritmato e di volume quando chi canta crede nella sua decisione, un finale esplosivo con cori annessi.

“A million dreams”,”Come Alive”, “From Now on”, e le mie preferite “This is me” (vero e proprio manifesto alle proprie virtù nonostante tutto) e “Rewrite the stars” sono accompagnate da una musica hip-hop, rock, molto pop che, forse, stride un po’ con l’ambiente circostante del diciannovesimo secolo. I balletti che riempiono la scena sono molto semplici e giocano molto bene su acrobazia e coinvolgimento. In pratica uno spettacolo circense che vuole  coinvolgere lo spettatore.

Siamo lontani da musical come “La La Land”, non c’è quella rincorsa alla citazione artistica o la profondità della storia presente in altri musical. La vicenda è semplice, la trama è alquanto scontata e classicamente ricostruita. Il ragazzo povero con un amore contrastato che insegue il sogno americano. L’arrivo dei primi successi in campo amoroso e lavorativo. Le difficoltà e, ovviamente il lieto fine. La storia di Barnum, in realtà, non è stata così semplice ed è ricca di molto egocentrismo, arrivismo, sete di potere e un’esaltazione pubblica della propria personalità tale da portarlo addirittura a denunciare se stesso per mistificazione.

“The Greatest showman” semplifica molto e lancia un messaggio chiaro, un patto con il proprio pubblico: ci si deve divertire cantando, ballando e, raccontando per sommi capi una vicenda che si riassume nell’essere il protagonista dei propri sogni da realizzare: lo showman della propria vita.

Hugh Jackman da prova di un’ottima recitazione e di una bravura nel cantare invidiabile. Zac Efron, quando riesce a partecipare a film con una sceneggiatura scritta bene dimostra di non essere male nella recitazione e di essere uno showman capace di cantare con una splendida voce. Il suo rapporto con Zendaya, è di una complicità straripante e, forse, è il legame che viene sviluppato meglio. Tutto il cast dimostra un egregio affiatamento e una notevole capacità nel canto. Da sottolineare la prestazione di Keala Settle, direttamente dal teatro musicale di Broadway.

“The Greatest showman”, per caratteristiche che fondono fantasia, balli e canzoni moderne con scenografia e ambientazione di secoli fa ricorda “Moulin Rouge”, anche lì uno spettacolo da mettere in scena e diversi intrecci amorosi.

Benché non sia perfetto e abbia una trama alquanto prevedibile il film intrattiene e coinvolge. Fa cantare e rimane nei cuori e nelle menti degli spettatori. Impossibile resistere all’azione di tenere il tempo con il piede o con una mano che batte sulla coscia. Come impossibile non commuoversi in alcuni passaggi fondamentali della vicenda. I sogni vengono messi in musica un’altra volta e, malgrado possano crollare infinite volte, è la consapevolezza dei propri mezzi e la propria determinazione e passione che possono ricostruirli.

Voto: 7,7

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *