Recensione in anteprima – Al cinema dal 21 settembre, Sofia Coppola torna in sala con l’adattamento del romanzo omonimo di Thomas Cullinan già diventato film nel 1971 per la regia di Don Siegel con il titolo ‘La notte brava del soldato Jonathan’.

Esaltando con maestria le atmosfere da southern gothic (premiato a Cannes per la miglior regia), L’Inganno racconta l’incontro tra un soldato ferito e le ospiti di un collegio femminile in piena Guerra di Secessione americana mettendo in scena un film teso, in bilico tra dramma e thriller, che tuttavia non coinvolge.

Nella Virginia rurale, teatro degli scontri della Guerra di Secessione, il caporale nordista John McBurney (Colin Farrell), ferito ad una gamba, viene trovato e soccorso da una giovane ospite del Farnsworth Seminary, collegio femminile guidato dalla risoluta Miss Martha (Nicole Kidman) che, insieme alla sensibile Miss Edwina (Kirsten Dunst), continua lezioni e attività nonostante il suono, lontano ma distinto, dei colpi di cannone. Superate le iniziali reticenze, tutte le donne si prendono a cuore –ognuna a modo suo- le sorti del soldato, lusingato e complice dei diversi giochi, innescando seduzioni e gelosie che avranno un tragico finale.

Sofia Coppola torna dietro la macchina da presa (per il cinema) a quattro anni da “The Bling Ring” e lo fa scegliendo le atmosfere cupe e tese di un southern gothic tratto da un romanzo del 1966, già portato sullo schermo con Clint Eastwood come protagonista maschile. La regista torna anche a parlarci di donne, suo argomento prediletto dai tempi dell’esordio con “Il giardino delle vergini suicide” (1999) e costante nella sua filmografia; torna a farlo con volti noti del suo cinema (Elle Fanning e soprattutto Kirsten Dunst) e sfruttando un’epoca storica lontana per affermare l’universalità della vicenda.

L’ambientazione e l’atmosfera cupa e tesa del genere costituiscono un aspetto fondamentale della storia, caricando personaggi e dettagli di molteplici significati; le attrici incarnano sogni e simboli di un immaginario femminile in cui l’elemento maschile risulta prima respingente e poi catalizzatore di attenzioni e desideri.

Le dinamiche psicologiche sono il motore delle azioni in questa oasi –non troppo- felice in mezzo all’orrore della guerra, che resiste con tenacia raccogliendo i frutti dell’orto, pregando, ricamando e difendendosi anche con le armi se necessario: quando l’elemento esterno piomba a turbarne (consapevolmente) gli equilibri, qualcosa si rompe e si innesca un’antitesi maschile-femminile destinata a degenerare nella tragedia. In una storia in cui i punti di vista e le interpretazioni su ciò che vediamo sono molteplici, e in cui non ci sono né veri buoni né veri cattivi e forse non si salva nemmeno l’ingenuità dell’infanzia, di candido restano solo gli abiti ottocenteschi anche di fronte ad una tragedia in pieno atto.

Sofia Coppola, anche sceneggiatrice, appare estremamente a proprio agio con questo materiale, riuscendo a rendere l’universo chiuso e opprimente in cui la vicenda si svolge e in cui tutto il cast, anche le attrici più giovani, si muovono perfettamente in parte: si avverte però la sensazione che il film nella sua interezza non riesca a lasciare un segno incisivo, a coinvolgere veramente lo spettatore, ma resti piuttosto un po’ in superficie, autocompiacendosi di un contenuto e di una forma pienamente nelle corde della regista.

Voto: 6,9

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