Recensione in anteprima – Peter Berg dirige il film sulla caccia agli attentatori della maratona di Boston in maniera impeccabile e patriottica senza mai sfociare nella facile demagogia. A quattro anni da quel terribile giorno arriva questo resoconto equilibrato e dinamico. Al cinema dal 20 aprile.

Boston, 15 aprile 2013. A causa di una sanzione disciplinare, il sergente Tommy Saunders è costretto a integrare la squadra incaricata della sicurezza della maratona, la più vecchia degli Stati Uniti. Il clima festivo è interrotto dall’esplosione di due bombe. Gli ordigni, piazzati lungo la linea d’arrivo sulla Boylston Street, uccidono tre persone e ne feriscono duecentosessantaquattro. In tempi rapidissimi la videosorveglianza permette di identificare i due colpevoli, due fratelli di origine cecena devoti alla causa estremista. FBI e polizia cominciano una serrata caccia all’uomo attraverso una città in stato di choc. Una corsa contro il tempo a cui Tommy Saunders darà il suo eroico contributo.

Qualche giorno fa, il 15 aprile, ricorreva il quarto anniversario dell’attentato alla maratona di Boston, la più antica del pianeta. Le due esplosioni e cosa successe durante quei pochi giorni è ormai cosa nota. Il “Patriots Day” del titolo originale si riferisce proprio al giorno durante il quale la storica maratona si svolge ogni anno ed ha un collegamento con i toni dello svolgersi del film in maniera marginale, di sottofondo.

Cadere nel tranello di una guerra schematica tra bene e male di una società occidentale contro quella (medio)orientale era cosa più facile di quanto si possa pensare ma il regista, Peter Berg, con diversi film “patriottici” alle spalle, non cade in questo errore e dimostra un patriottismo equilibrato e che si focalizza sulla reazione della città e dei cittadini di Boston.

“Boston: caccia all’uomo” è diviso abbastanza nettamente in due parti anche se non c’è soluzione di continuità e il passaggio dall’attentato alla caccia non è descritto solamente dallo scoppio delle due bombe come si potrebbe pensare. E’ un passaggio graduale come graduale e, per certi versi quotidiano ed intimo risulta l’approccio iniziale alla vita della Boston città e di alcuni suoi selezionati protagonisti.

Per chi ha chiare in mente le atmosfere di “Friday Night Lights” (sia il film diretto dallo stesso Peter Berg, sia la serie), la prima parte, la presentazione non scolastica, con telecamera a spalla, risulterà molto familiare. Stessa voglia di rendere lo spettatore un personaggio aggiunto alla scena, amico, comparsa presente nella scena stessa pur non avendo diritto di parola.

La storia del sergente Saunders (Mark Wahlberg) e del suo rapporto con la moglie (Michelle Monaghan) e con l’arma di cui fa parte, la giovane coppia Downes innamoratissima, il commissario di polizia Davis (John Goodman), il rapporto tra i due fratelli attentatori e la moglie del maggiore dei due,  Katherine Russell (Melissa Benoist): tutte situazioni presentate nel quotidiano e brevemente con un montaggio in parallelo saltando da storia a storia. Tutti si avvicinano al “Patriots Day” e tutti convergono sul luogo della maratona.

Dall’attentato in poi, Peter Berg non si sofferma sui facili dolori dei famigliari delle vittime, non indugia troppo sui feriti. Presenta la cronaca e lo smarrimento di una città, incredula e ferita. La guardia di un poliziotto per ore al corpo della vittima più giovane, di soli otto anni, ne è l’emblema. Pieno di una inusuale, per lui, risolutezza, è il sergente Saunders che prende in mano la situazione. Pur con le sue paure, seppur zoppicante, in un’ironica situazione che viene aggravata dalle ferite più psicologiche che fisiche.

Con l’arrivo dell’agente dell’FBI Richard DesLauriers (Kevin Bacon) il film fa un ulteriore scatto in avanti. La ricostruzione del percorso di avvicinamento degli attentatori si fa precisa, minuziosa, coinvolgente. Peter Berg bada al sodo come, probabilmente, in quelle ore han fatto poliziotti e agenti FBI. Si arriva a una vera caccia all’uomo per le strade di Boston. Una Boston deserta ma partecipe dai video, dalle radio. Il film mette in mostra questo spirito patriottico di giustizia, di rivalsa che non si abbandona all’odio e alla vendetta, si evolve velocemente in qualcosa di più anche per colpa della paura di non poter uscire, di essere bersagli mobili.

“Boston: caccia all’uomo” lancia, nel finale, anche dei messaggi. Dalla bocca del sergente Saunders si fa filosofico. A prima vista potrebbe risultare stonato, forzato, stucchevole e abbastanza banale, ma non ci sono parole diverse per esprimere quel concetto finale che regista e spettatore finiscono per condividere.

Voto: 6,9

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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