Recensione – Tradizione e attualità si scontrano nel nuovo film di Luca Miniero. Un presepe specchio della società italiana e che cerca in qualche modo di far riflettere e di divertire ma ci riesce poco sia nel primo che nel secondo caso.

Nel paesino di Portobuio non nascono più figli, ed è un problema soprattutto quando bisogna allestire il presepe vivente di Natale. Il sindaco Cecco – nato a Portobuio, emigrato nell’hinterland milanese (per giustificare l’accento lombardo di Claudio Bisio che lo interpreta), e poi tornato nei luoghi dell’infanzia – si fa carico di trovare un infante cui affidare il ruolo del Bambin Gesù, e non trova di meglio che rivolgersi alla comunità islamica che convive con una certa difficoltà con gli abitanti storici del paese. A capo della comunità islamica c’è Marchetto detto Bilal, amico di infanzia di Cecco convertito alla fede musulmana per amore della bella moglie Aida. Chiude il cerchio, o per meglio dire il triangolo, suor Marta, amica d’infanzia di Cecco e Bilal, poi diventata monaca, levatrice disoccupata e ristoratrice.

Troppo evidente è il meccanismo alla base di questo nuovo film di Luca MIniero. Il regista di “Benvenuti al sud” ripropone le contrapposizioni tra diversi modi di vivere nella società, questa volta a scontrarsi sono le usanze di diverse religioni. Il gioco riuscito in modo divertente nel film dedicato al postino spedito al sud finisce col naufragare nel mare attorno all’isola di Portobuio.

Da un’idea molto interessante, cioè la bassa natalità italiana contrapposta a un’alta natalità degli immigrati che può sfociare nelle diverse interpretazioni del vivere quotidiano, si passa a una realizzazione molto poco logica, con intoppi evidenti, con la ricerca di una forzata risata ricorrendo ad argomenti troppo spesso usati in malo modo.

La sceneggiatura sembra essere slegata dalla realtà, infatti non è cosa proibita o mai vista avere, in qualche presepe vivente in giro per l’Italia, un bambin Gesù di colore oppure non cristiano. In molte occasioni questo è anche un messaggio per integrare e far sentire più a casa e coinvolti propri quegli immigrati che la Chiesa ha il dovere e la missione di non lasciare indietro oppure emarginati dalla vita di un paese o di una città.

Si ride in “Non c’è più religione” ma lo si fa per battute vecchie e stantie con la sola eccezione per un paio di momenti grazie alla strabordante presenza comica di Giovanni Cacioppo, fatalmente dimenticato da metà film in poi. Come da metà film in poi la trama cambia passo, in peggio, scivolando verso il messaggio forzatamente didascalico. La scomparsa del personaggio di Aida, la bella Nabiha Akkari già vista in “Che bella giornata” con Checco Zalone, e la ricomparsa, così dal nulla, di Maddalena interpretata da Laura Adriani, una delle ragazze di “Questi giorni” di Piccioni, il nome del personaggio fanno già intendere su quali simbolismi banali si adagia via via la sceneggiatura.

E’ cosa abbastanza normale per tutti vedere l’intreccio che c’è tra i personaggi di Claudio Bisio, Alessandro Gassman e Angela Finocchiaro e pensare subito a “Tentazioni d’amore” anche se ovviamente lo svolgersi della vicenda è totalmente differente. Molto interessante invece la visita del vescovo che smaschera quell’ipocrisia travestita da modernità e buonismo in cui ormai cade puntualmente la società a ogni interpretazione totalmente di comodo delle parole di Papa Bergoglio.

“Non c’è più religione” è un film che poteva dare molto di più pensando al punto di partenza del soggetto. Purtroppo tutto o quasi viene vanificato da battute, situazioni, personaggi già visti con una totale e inadeguata distanza dalla realtà.

Voto: 4,8

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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