Reazioni del pubblico – In questa nuova rubrica si vuole mettere sotto la lente di ingrandimento il “comportamento del partner”, ovvero raccontare il pubblico in sala, le reazioni degli spettatori a determinate scene del film e il “livello di partecipazione” alla narrazione della pellicola.

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Qual è la definizione di pubblico?
Sfogliando le pagine del dizionario o del web si può trovare un’indicazione utile: un insieme di persone potenzialmente partecipi o presenti.
In linea generale è chiaro, ma andando nello specifico questo “gruppo” resta indefinito.
Non è cosa da prendere alla leggera, soprattutto se si pensa che nel mondo dell’invenzione cinematografica, il regista che ha talento cerca di anticipare sempre ciò che il pubblico vuole vedere nel suo film.
Si potrebbe azzardare quindi che il film sia una sorta di ballo a coppie, dove il filmaker è colui che conduce e il pubblico è il partner.
Quest’ultimo poi, da solo, o con gli amici, sui social o sul proprio blog, racconta come sia stata “la danza con il regista”, esprimendo la sua opinione/recensione, che per un lettore diventa un ulteriore generatore di intrattenimento.
Eppure in questa rubrica si vuole mettere sotto la lente di ingrandimento il “comportamento del partner”, ovvero raccontare il pubblico in sala, le reazioni degli spettatori a determinate scene del film e il “livello di partecipazione” alla narrazione della pellicola.
Lo studioso Linneo fu il padre della classificazione del regno animale, individuando per ciascun essere vivente una specifica tipologia.
Prendendo in prestito l’impegno dello scienziato, mi accingo a descrivervi gli “animali” delle sale che ho incontrato al cinema in specifici film.
Buona lettura.

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In guerra per amore (qui la nostra recensione in anteprima)

Venerdì sera, ore 21.00.

Arrivato a un quarto d’ora abbondante dall’inizio della pubblicità, mi metto a cercare la fila e il posto che mi era stato assegnato, alla flebile luce dello schermo del cellulare.
La mia consolazione è di non essere l’unico nell’impresa, seppure le comitive che ho visto muoversi furtivamente lungo le scale laterali della sala – disposta come un anfiteatro – godessero di una luce più intensa e chiara del mio telefono.
Tutto sommato noto che le poltrone sono abbastanza occupate, non a livello dei blockbuster supereroistici, ma un buon numero di spettatori c’è.

LA RICERCA DELLA POLTRONA. Mentre mi faccio strada per raggiungere il mio posto, tipicamente posto dal lato opposto rispetto a dove mi trovo, la penombra mi dà la possibilità di farmi un’idea dei presenti in sala: persone di tutte le età, tranne che per gli under18, completamente inesistenti.
Ci sono le già citate comitive di amici storici, qui al loro abituale appuntamento al cinema (uno o due volte ogni 15 giorni), qualche ragazza/signora in compagnia dell’amica, senza dimenticare un paio di coppie di marito e moglie che si concedono la serata libera dai figli – vista l’età, fuori con gli amici o sposati – e dagli impegni di casa.

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LA DEDICA CHE DIVIDE. Appena il film parte ecco comparire la dedica della pellicola al regista Ettore Scola e il pubblico è già diviso: da una parte ci sono gli esperti, la comitiva degli amici storici, ma soprattutto la coppia di signore, che sanno bene chi è stato Ettore Scola e che già attraverso una serie di segnali convenzionalmente riconosciuti, tra cui pizzicotti, strizzatine d’occhio appena percettibili nella semi oscurità e bisbigli emozionati, già si sono fatti un’idea di quale piega prenderà il film e prendendo a termine di paragone l’intera cinematografia di Scola e il primo lavoro di Pif, qui alla sua seconda regia.
Dall’altra, ci sono quelli che Scola non sanno chi sia, i più religiosi lo scambiano per il cardinale e si stupiscono perché non sapevano che Pif fosse devoto. In ogni caso anche loro adottano La Mafia uccide solo d’estate come termine di confronto con il film in sala.
In ultimo c’è una minoranza di chi non ha mai visto né Scola né Pif – fatta eccezione di un’occasionale puntata de Il Testimone su Mtv, ma forse era una delle prime stagioni – e che decidono di godersi la pellicola così com’è.

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LA COMICITÀ DEL DIALETTO. Risate in sala se ne sentono, soprattutto da parte di quelli che capiscono molto bene il dialetto siciliano, piuttosto presente nel film, che – certo – tradotto dal protagonista agli americani un effetto comico lo fa comunque, ma non è niente in confronto all’ilarità suscitata dalla comprensione piena delle sfumature del parlato locale.
Fortunatamente in sala ci sono diversi nativi dell’isola, che per generosità si prodigano per tradurre al vicino inconsapevole i significati.
Ma attenzione, perché dietro l’angolo si nasconde un “animale” che tra tutti è quello che più si incontra nelle sale: l’isterico.
Trattasi di un essere socialmente, lavorativamente ed economicamente frustrato che pensa che tra il suo salotto di casa e la sala del cinema non ci sia alcuna differenza: così come è silenzioso e immune da rumori esterni il primo, lo è anche il secondo.

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L’AGGRESSIONE DELL’ISTERICO. Guai a disturbarne la quiete durante la presa visione della pellicola, perché il soggetto in questione una volta che avrà puntato il presunto disturbatore si prenderà il tempo che vuole per formulare una battuta acida che possa mortificare il più possibile l’avversario.
Non sperate in un semplice e improvviso richiamo al silenzio, anche mediante turpiloquio, quello che l’isterico ha in serbo per voi è un vero capolavoro di cinismo e distruzione verbale, servito in genere durante la pausa tra primo e secondo tempo.
Propri uno di questi esemplari ha freddato letteralmente una coppietta particolarmente entusiasta del film: lei siciliana, lui del milanese, stavano appunto richiamando alla mente espressioni particolarmente divertenti ma al secondo incomprensibili, quando l’animale è partito all’attacco. Una sola frase, uno sguardo da Signora Danvers, di Rebecca di Alfred Hitchcock e chiusura ad effetto. Peggio di un colpo d’arma da fuoco con silenziatore.

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IL SILENZIO CHE PREMIA. In chiusura di film il pubblico in sala è completamente ammutolito, incantato dalla danza del protagonista e degli altri attori sulla scena, appassionato dalle storie raccontate in In guerra per amore.
La pellicola si chiude, le luci si accendono e vedo dei volti soddisfatti e commossi. Dall’isterica no, in genere non pronunciano mai le loro impressioni a caldo, soprattutto perché non hanno potuto avere una visione complessiva per colpa del pubblico, reo di aver soltanto inspirato e espirato l’aria dai polmoni – a suo dire, rumorosamente – al punto che non è riuscito ad ascoltare le parole.
Gli spettatori sono soddisfatti e mentre stanno uscendo, formulano già le prime impressioni: c’è quello che ha già la recensione in tasca e subito racconta “il gioco del regista” agli amici, quello che, mettendo in fila i pensieri, formula un giudizio approssimativo, e poi arriva lui, “il sopravvissuto”, ovvero lo spettatore che se restava un altro minuto dentro la sala senza mangiare (perché non sia mai di comperare qualcosa dal carrello delle bibite, perché ti spennano) probabilmente avrebbe divorato prima le proprie vesti, poi la poltrona e infine il suo vicino.
Con la promessa di portarlo al paninaro stradale più vicino, gli amici riescono a calmarlo e – poco alla volta – il pubblico si scioglie.

Appuntamento alla prossima puntata

Di Zorbas

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