Recensione in anteprima – (Il labirinto del silenzio) Candidato dalla Germania entra nella short list dei possibili nominati all’Oscar per il miglior film straniero. Un film del 2014 sulla Shoah che è inchiesta e indagine impeccabile che vuole rompere i silenzi di una nazione dopo la seconda guerra mondiale. Il film esce in Italia il 14 gennaio.

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Francoforte, 1958. Johann Radmann è un giovane procuratore deciso a fare sempre ‘quello che è giusto’. Un principio, il suo, autografato sulla foto del genitore, scomparso alla fine della Seconda Guerra Mondiale e di cui conserva un ricordo eroico. Ma i padri della nazione, quella precipitata all’inferno da Hitler, a guardarli bene sono più mostri che eroi e Johann dovrà presto affrontarli. Avvicinato da Thomas Gnielka, giornalista anarchico e combattivo, conosce Simon, artista ebreo sopravvissuto ad Auschwitz e a due figlie gemelle, sottoposte a test crudeli dal dottor Josef Mengele. Simon ha riconosciuto in un insegnante di una scuola elementare uno degli aguzzini del campo di concentramento. Come lui, molti altri ‘carcerieri’ e ufficiali sono tornati alle loro vite rimuovendo colpe orribili. Colpito dal dolore di Simon e dall’ostinazione di Thomas, Johann decide di occuparsi del caso. Schiacciato tra il silenzio di chi vorrebbe dimenticare e di chi non potrà mai dimenticare, il procuratore chiede consiglio e aiuto a Fritz Bauer, procuratore generale, che gli darà carta bianca e il coraggio di perseverare. Testimonianza dopo testimonianza, Johann Radmann prende coscienza dell’orrore, ricostruisce il passato prossimo della Germania e avvia il ‘secondo processo di Auschwitz’.

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Esistono passati che non devono passare, perché, per la loro importanza bisogna sempre farne memoria. Se ormai, la Germania ha affrontato il suo passato e ne dichiara la sua colpevolezza, almeno nella maggior parte della sua popolazione, questo fenomeno non era così nei primi anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale. La Germania, come ben fotografa il regista italiano naturalizzato  tedesco Giulio Ricciarelli nel suo film, ha vissuto un periodo di assoluta e volontaria ignoranza di quanto successo nei campi di concentramento. Chi sapeva taceva come quando ci si è appena risvegliati da un incubo e non se ne vuole parlare. Molti, nazisti soprattutto, avevano abbandonato il paese anche se la polizia sapeva benissimo dove si stavano rifugiando i responsabili di molte delle atrocità scoperte una volta aperti quei campi di concentramento ormai tristemente noti.

Tutto questo viene ben descritto nel film. La pellicola ha il pregio di ascoltare quanto quei testimoni hanno da dire. Quanto il giovane procuratore riesce a scoprire, testimone dopo testimone, sopravvissuto dopo sopravvissuto e racconto dopo racconto. Un film che si legge con questi racconti come fosse un libro da sfogliare pagina dopo pagina. Molto spesso il regista non ci fa sentire tutta la storia, viene accennata e, molte volte non vengono descritti i particolari macabri ma sappiamo che esistono. Lo intuiamo dalle lacrime, dall’eloquio spezzato dai ricordi che riappaiono improvvisi. La scelta di Ricciarelli di non mostrare le immagini di tali atrocità è coraggiosa e originale. Impeccabile appare un ottimo Alexander Fehling nella parte del procuratore che con audacia e caparbietà vuole scoprire la verità che fin da ragazzo gli è stata taciuta. Una verità osteggiata da un muro di omertà creato appositamente da chi, colpevole si è autoassolto dimenticando le proprie colpe per non turbare il risveglio della Germania dall’incubo. E’ un personaggio inventato e creato per l’occasione ma verosimile che si destreggia tra attori che impersonano molti dei veri testimoni e protagonisti di quegli anni. Lo spettatore si identifica nel procuratore. Lo spettatore sa ma è importante sapere come ci si arriva a quel sapere.

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La pellicola, con ottime scenografie, un ritmo incalzante, asciutto, cadenzato, verrebbe da dire “tedesco” affascina, attrae, interessa e scorrono velocemente le due ore e 14 minuti della durata del film. Ci sono molte buone possibilità che questo film possa entrare in nomination ma temiamo per il “nostro” Ricciarelli che “Mustang” e soprattutto “Il figlio di Saul” (vincitore Golden Globe 2016 come miglior film straniero) possano essere superiori.

Voto: 7,6

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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