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Recensione – Maggie è uno zombie movie un po’ particolare. Sia nella struttura, lenta, che negli argomenti che tratta: la profonda relazione tra padre e figlia infetta. Dimenticatevi lo Schwarzenegger dei film action, qui, l’ex governatore della California, da sfoggio delle sue doti recitative drammatiche e il risultato non è male pur in un film non riuscito perfettamente.

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Una terribile epidemia ha colpito gli Stati Uniti, trasformando le persone in zombie. Un virus misterioso consuma la carne di uomini, donne e bambini fino a ridurli in mostri da abbattere. Affetti dalla malattia sono costretti alla quarantena in ospedale o presso i loro cari che vegliano sulla trasformazione e poi sono costretti a congedarsi traumaticamente. Maggie, sedicenne orfana di madre, è aggredita e contagiata. Deciso a proteggerla ad ogni costo, il padre, contadino della Louisiana con fucile e spalle larghe, la riconduce a casa dopo la fuga e condivide con lei le sue ultime settimane di vita. Ma Wade in cuor suo spera ancora di poterla salvare, di poterla sottrarre a quella metamorfosi dolorosa. Contro di lui il tempo e la polizia, che veglia sulla cittadinanza ed è decisa a preservare la sicurezza degli scampati.

Opera prima di Henry Hobson, Contagious non è un film di zombie come gli altri. Nessuna orda di morti viventi, nessuna mazza a tramortirli, nessun centro commerciale a stiparli, niente di tutto questo accade sullo schermo perché il regista inglese si concentra sulla relazione intima padre-figlia e attraverso quel legame interroga l’eterno vagare degli zombie.

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In sintesi Contagious (Maggie, il titolo originario è nettamente più corretto) è tutto qui, un viaggio nel rapporto padre-figlia con un protagonista che non ti aspetti. Uno Schwarzenegger insolito, drammatico, tenero e nella parte matura di un padre che sente la malattia della figlia più di quanto la senta la figlia stessa. Un lottatore che siamo abituati a vedere sconfiggere orde di nemici con le proprie forze e con le armi nulla può contro la trasformazione in zombie della figlia. Durante la visione, guardando il credibilmente turbato Schwarzenegger si spera sempre che il film trascenda il genere drammatico e zombie abbracciando il sci-fi puro e permettendo all’Arnold internazionale di porre fine alle sofferenze della figlia con una soluzione di forza delle sue, al limite tornando come robot dal futuro se possibile.

E invece no, con un ritmo lento, contemplativo, che lascia poco spazio al sangue e alle dinamiche di morte tipiche di film come “Notte dei morti viventi” o di film più strutturati come “Io sono leggenda”, Schwarzenegger affianca la figlia in questo viaggio, in questa lotta. Emblematica è la scena finale, che non vi sveliamo e che riassume tutto il carattere di una pellicola, strana, inedita. Ed ecco che il parallelo alla drammaticità di chi si trova ad affrontare una malattia terminale è presente in Abigail Breslin (la figlia Maggie) e il dolore dei familiari si trasla sui parenti. In mezzo scorre la vita quotidiana, scossa dall’evento ma che tenta di andare avanti, magari ricordando il passato che si fa eco in interminabili silenzi, immagini della natura che, anch’essa è decadente e paesaggi urbani abbandonati e fatiscenti.

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Una buona regia, una buona ambientazione, un film non perfetto ma che si regge su una storia intima ben sviluppata che ne è anche il limite. Ottima prova, inaspettata e che accogliamo con gioia di Arnold Schwarzenegger.

Voto: 6,1

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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