RecensioneUn tassello importante della vita politica di Martin Luther King viene presentata dalla regista Ava DuVernay in tutta la sua drammaticità, passione, rischio e determinazione. Un film ben costruito e che pecca solo del troppo materiale da approfondire a fronte del poco tempo a disposizione.

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Siamo nel marzo del 1965. Martin Luther King Jr., insieme ad altri membri del Southern Christian Leadership Conference più altri attivisti, hanno già tentato due volte di portare a termine quella che dovrebbe essere una tappa definitiva. Si tratta della marcia di protesta da Selma a Montgomery, al fine di ottenere l’estensione del voto per i neri, sulla carta esistente ma nella pratica sistematicamente disatteso.

“Glory” è la canzone che fa parte della colonna sonora del film e che ha vinto meritatamente come miglior canzone durante la recente serata degli Oscar 2015. Vi forniamo il link al video con alcune immagini del film.

Perché partire da una canzone per recensire il film? Semplicemente perché il film si riversa come non mai nello spirito della canzone e la canzone ne esalta le immagini simbolo. Un’operazione sicuramente non nuova e riuscita a tanti altri film ma in questo caso, personalmente non ho trovato modo migliore per omaggiare e sintetizzare il mio pensiero riguardo a questo film.

La recensione, questa recensione, viene pubblica il 7 marzo, esattamente a 50 anni dagli avvenimenti narrati nel film. Non è un caso, si è voluto aspettare questo giorno per dare maggior risalto al messaggio che la regista e tutto il cast vogliono dare e che si intrufola nella mente dello spettatore.

In una nazione, gli Stati Uniti, che hanno così tanta democrazia da avere anche la possibilità (qualcuno direbbe arroganza) di poterla esportare altrove tramite guerre e bombe intelligenti, negli anni sessanta avevano ancora il problema dei pari diritti ai cittadini di colore. Non che in altri paesi si fosse messi meglio ma la sottile situazione in cui gli Usa mandavano truppe in Vietnam e nel frattempo non sapevano garantire la democrazia per il popolo nero all’interno dei propri confini è richiamata dalla regista velatamente ma tanto basta a far riflettere.

DuVernay nel suo film non vuole accusare, le accuse nascono spontanee dall’evidenza dei fatti, un’evidenza quasi documentaristica (e le reali immagini di repertorio ci sono) e a tratti anche tristemente violenta e cruda. Nell’organizzare principalmente la vicenda attorno all’attraversamento del famoso ponte in Selma per poi proseguire la marcia verso Montgomery la sceneggiatura ha il tempo di approfondire il Martin Luther King Jr uomo e non solo politico e predicatore.

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Questo punto di vista, questa voglia di scandagliare anche le paure, le titubanze dell’agire di Martin Luther King è forse, la parte migliore del film e sicuramente non è scontata seppur Martin si dimostra sempre deciso in pubblico persino davanti ai politici e presidenti della sua epoca. E’ il rapporto con la moglie, con i propri collaboratori che viene dal film sottolineato e ridimensionato riportando Martin a una figura più umana. Non si toglie nulla al mito, anzi si aggiunge molto a una figura storica che, alla luce di tanti e troppi episodi razzisti che avvengono ancora negli Stati Uniti e altrove, deve essere sempre più ricordata per ciò che ha fatto e per ciò che ha dato a un popolo privato ingiustamente dei propri diritti.

Film da vedere, buona regia, buone interpretazioni.

Voto: 7,4

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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