Recensione – Nuova interessante versione del celebre romanzo per ragazzi “Pinocchio” scritto nel 1881 da Carlo Collodi. Del Toro sposta l’intera vicenda nel periodo fascista e si avvale della tecnica della stopmotion per questo film straordinario film d’animazione. La felice intuizione storica, la riscrittura di un prequel preciso e profondo rendono questa versione di “Pinocchio” tra le più riuscite. Su Netflix dal 9 dicembre.

La storia, nella storia

Durante la Prima Guerra Mondiale, sulle colline toscane, Geppetto e suo figlio Carlo vivono serenamente, finché una bomba non si abbatte accidentalmente sulla chiesa del paese finendo per uccidere Carlo. Passano gli anni e Geppetto, ormai alcolizzato, una notte in preda al delirio ricrea suo figlio in forma di burattino di legno. Una creatura fatata interviene a dargli vita e offre a un grillo con aspirazioni da scrittore di fargli da spirito guida e aiutarlo a essere buono: se ci riuscirà esaudirà per lui un desiderio. L’Italia però è nel mentre precipitata nel regime fascista e il burattino, visto con sospetto dai cittadini, sembra al gerarca padre di Lucignolo un potenziale soldato perfetto. L’impresario del circo Volpe vuole invece farne una star e cerca di legarlo a sé con un contratto di ferro…

Guillermo del Toro ha la felice intuizione di ambientare la storia nell’Italia del periodo fascista e questo rende molto profondo il discorso tra doveri, regole e distinzione tra bene e male che Pinocchio deve affrontare nel corso della sua esistenza così ingenua ed esposta alle parole di chi incontra.

La storia, rispetto all’originale ha dei tagli (forse importanti come la vicenda della trasformazione in asino) e delle modifiche come per esempio l’interessante iniziativa di fondere nello stesso personaggio, il conte Volpe, Mangiafuoco, il Gatto e la Volpe. Modifiche e sottrazioni che non modificano il fascino della favola, ne accentuano alcuni passaggi e messaggi e creano un coinvolgimento emotivo dello spettatore anche di colui che conosce a memoria la classica e famosa storia.

La tecnica

Il “Pinocchio” di Guillermo del Toro è un film d’animazione in stopmotion con sprazzi di CGI. Alla fine del film, sempre su Netflix, c’è un bel documentario di 30 minuti circa nel quale è spiegata questa tecnica e nel quale il cast tecnico mostra una sorta di dietro le quinte e di come l’idea è nata ed è stata sviluppata.

La stop-motion del film è talmente fluida e, allo stesso tempo, tradizionale che si integra perfettamente con CGI. Ma è proprio questa tecnica che è protagonista e rende il film vivo, di quella vivacità che fa dimenticare allo spettatore di trovarsi di fronte a un film d’animazione immergendosi totalmente in una vicenda fittizia per i personaggi ma estremamente vera nei sentimenti ed emozioni.

Le voci, nella versione originale sono di Ewan McGregor per quanto riguarda Sebastian il Grillo, David Bradley per Geppetto, Ron Perlman per il podestà, Tilda Swinton per lo spirito del bosco, Christoph Waltz per il Conte Volpe, Cate Blanchett per Spazzatura, John Turturro per il dottore, Tom Kenny per Mussolini.

(Ri)essere padre

Nel “Pinocchio” di Matteo Garrone c’è una scena che ritrae il Geppetto interpretato da Roberto Benigni che cerca addolorato il suo Pinocchio scappato di casa. E’ una scena in cui si capisce la solitudine di Geppetto e l’amore per il proprio figlio Pinocchio, la voglia più generica di gridare al mondo la propria voglia di paternità.

In questo film viene esplorato ancor di più questo desiderio con un’introduzione originale e che introduce anche temi quali l’abbandono e la morte. La perdita della persona amata, in questo caso il proprio figlio Carlo (un omaggio al Collodi) dopo aver perso ancor prima la moglie è trattato con la giusta tensione, emozione e si ripresenterà in varie forme anche nel corso del film.

“Dove lo ha messo, come si può perdere un’intera persona?”

Questo è quanto dice Pinocchio riguardo a Carlo e a Geppetto che lo ha “perso”. E’ un Pinocchio volutamente ingenuo, genuino, estremamente ribelle alle regole ed è la persona più umana e viva dell’intero film. La sua ribellione alle regole mette in risalto quelle becere del regime fascista in contrapposizione a quelle doverose per un vivere civile. Un richiamo alla civiltà tramite la freschezza e la gioia di conoscere il mondo di Pinocchio che è poesia, respiro pieno per quell’epoca triste e lugubre.

Un film da vedere in famiglia che, a conti fatti, poteva (e doveva) essere proposto al cinema ma assolve il suo compito anche tra le mura di casa.

Voto: 9

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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