Recensione in anteprima – Venezia 76 – Fuori concorso – Libero adattamento dell'”Enrico V” di Shakespeare, il nuovo film di David Michod è un discreto dramma storico che si lascia guardare ma non lascia il segno. Godibile ma dimenticabile. Al cinema (Usa) dall’11 ottobre. Su Netflix da Novembre. 

Trama

Principe ribelle e riluttante erede al trono d’Inghilterra, Hal ha voltato le spalle alla vita di corte e vive tra il popolo. Ma quando il tirannico padre muore, Hal è incoronato re con il nome di Enrico V (Timothée Chalamet) e si trova costretto ad abbracciare la vita alla quale aveva cercato di sfuggire fino ad allora.

Il giovane re si trova ora a destreggiarsi tra la politica di palazzo, il caos, le guerre che il padre si è lasciato alle spalle, e le vicende emotive della sua vita passata, incluso il rapporto con l’intimo amico e mentore, l’anziano cavaliere alcolista John Falstaff.

Da libertino a re 

Dopo A Marriage Story” e “The Laundromat”, “The King” è la terza produzione di Netflix presente alla Mostra del Cinema di Venezia, in questo caso però fuori concorso. Si tratta di una libera trasposizione dell’“Enrico V” di Shakespeare, già adattato per il grande schermo in passato da Laurence Olivier nel 1944 e da Kenneth Branagh nel 1989.

Il regista David Michod, che ha scritto la sceneggiatura insieme all’attore Joel Edgerton, interprete di Falstaff, introduce però elementi presenti nell’“Enrico IV” e comincia la sua storia mostrandoci la vita del giovane protagonista ben prima di diventare re, quando tenta di sfuggire alla vita di corte dandosi alla bella vita, tra alcol e prostitute, in compagnia del più anziano amico John Falstaff, ex guerriero formidabile e ora alcolista.

L’idea principale è dunque quella di seguire l’evoluzione di Hal, che da giovane libertino in seguito alla morte prima del padre e poi del fratello è costretto suo malgrado ad accettare il suo ruolo e a salire il trono con il nome di Enrico V. Deciso a rimediare agli errori commessi da suo padre e desideroso di riportare la pace nel regno, il nuovo sovrano si ritrova però invischiato nelle trame dei suoi ministri e cade nelle provocazioni del Principe di Francia, dando inizio ad una guerra che culmina con la celebre battaglia di Azincourt.

Un’opera sufficiente ma poco incisiva 

Come dichiarato dallo stesso regista, l’intento è quello di raccontare

“come la guerra possa emergere dalle paludi del potere e della paranoia, dell’avidità e dell’arroganza, della paura e della famiglia”.

Il nuovo ruolo che si trova a rivestire, infatti, trasforma completamente il giovane Hal, che con il progredire della storia diviene sempre più spietato e feroce: è soprattutto a questo percorso che Michod è interessato. Peccato che la resa non sia all’altezza delle intenzioni: a “The King” manca il guizzo, il coraggio, l’idea brillante capace di elevarlo al di sopra di tanti altri film dello stesso genere.

Per quanto sia costellata di duelli, intrighi di palazzo e battaglie spettacolari (quella finale, soprattutto, è girata molto bene, con un lungo e bellissimo piano sequenza che segue il protagonista nel caos della lotta), la storia soffre di una certa prolissità nella parte centrale. E in fin dei conti non mostra nulla che non si sia già visto in opere del passato o in un qualsiasi episodio di “Game of Thrones”, cui “The King” si rifà per toni e atmosfere (nel cast c’è pure Dean Charles Chapman, in un ruolo molto simile a quello di Tommen nella serie tv della HBO).

Il cast è pieno di volti noti, dal lanciatissimo Timothee Chalamet, capace di offrire una buona performance, a Joel Edgerton, protagonista dei momenti più brillanti del film nei panni di Falstaff, passando per bravi caratteristi come Sean Harris e Ben Mendelsohn, fino ad un improbabile Robert Pattinson, che recita con parrucca bionda e accento francese nel ruolo del Principe di Francia.

La sensazione che si ha al termine della visione è quella di un film godibile ma poco incisivo, un’opera discreta e sufficiente, impeccabile dal punto di vista tecnico, ma poco coinvolgente e poco originale sul versante narrativo. Un compitino ben svolto, che si lascia guardare ma non lascia il segno.

Voto: 6

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