Recensione in anteprima – Venezia 75 – Orizzonti – Il Leone del Futuro, il premio della Mostra del cinema di Venezia per la miglior opera di un esordiente, quest’anno è andato alla giovane regista siriana Soudade Kaadan per il suo The day I lost my shadow, dramma sullo sfondo dei bombardamenti a Damasco.

Una vicenda mai banale e sempre tragica

La regista esordisce infatti portando al lido le vicende di Sana, una giovane madre siriana costretta a pensare a se stessa e al proprio figlio piccolo, contestualmente alla drammatica guerra del 2012 nel proprio paese. Continuamente sorpresa e interrotta da interruzioni improvvise di gas e corrente, un giorno è costretta ad assentarsi di casa per muoversi alla ricerca di una nuova bombola di gas, terminata la precedente.

Questa missione porterà la protagonista a conoscere Jahal e la sorella di quest’ultimo, Reem. Con i due sarà costretta a vivere delle disavventure tragiche, causate dal regime militare nel quale sono costretti a vivere, vagando nelle terre della periferia di Damasco.

Cosa sarebbe peggio? Morire con la propria ombra, o vivere senza di essa?

Il film vive della figura femminile principale, interpretata da Sawsan Arsheed, che mette in scena la pena generata dalla guerra intestina del paese che la regista conosce bene. La vicenda viene narrata attraverso le atmosfere di quello che si può definire realismo magico, il quale rimarca con forza la concretezza della guerra e il vuoto che essa genera.

Vuoto sottolineato dal dileguarsi dell’ombra di alcuni personaggi, al contrario di quanto successe a Hiroshima in seguito al bombardamento nucleare, qui si può continuare a vivere nonostante si sia smarrita la propria ombra.

Punti di forza e punti deboli da non sottovalutare

Quella che si sperimenta nei circa 90 minuti di durata è una storia tanto drammatica quanto sincera, e purtroppo ancora necessaria. Essa però presenta molti difetti tipici dell’opera prima, quali possono essere, ad esempio, il prolungarsi inutilmente di alcune sequenze e i ritmi eccessivamente lenti che si protraggono in inquadrature monotone e invarianti.

I dialoghi sono essenziali ma puntuali, a volte criptici, a volte fastidiosi: non si può sentire una delle prime frasi della protagonista che maledice la propria sorte a casa in presenza del figlio; unica scena del film che risulta ostentata, eccessiva e completamente inutile.

Quest’opera nasce da una regista che studiò teatro, che ha fatto esperienza nel cinema dirigendo e producendo diversi documentari, e queste premesse si rispecchiano nella costruzione dello spazio intorno ai personaggi e nel loro modo di muoversi in esso.

Voto: 6

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *