Incontri – La settimana è partita alla grande all’Università IULM di Milano. Lunedì 22 ottobre si è infatti tenuta una lezione del tutto originale del corso “Lo spettacolo nella società multimediale: fondamenti di teatro moderno e contemporaneo”, per l’occasione aperta al pubblico esterno all’Ateneo, in compagnia di Giacomo Poretti. Noto a tutti come parte del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, si è raccontato con ironia ed eleganza percorrendo le varie tappe fondamentali della sua vita, che lo hanno portato a diventare la persona e l’artista che oggi vediamo.

Racconti d’infanzia e gli inizi nel teatro

Nato il 26 aprile 1956 a Villa Cortese, nel legnanese, da una famiglia di operai, ha attraversato vari mestieri prima di approdare al teatro, dal metalmeccanico al lavoro in ospedale, perché in famiglia il lavoro era una necessità, e per gran parte della sua vita per Giacomo il teatro ha rappresentato un sogno irrealizzabile.

Riportandoci alla sua infanzia ci ha raccontato del periodo all’oratorio, quando ancora non esistevano tate e badanti e solo le nonne si occupavano dei nipoti:

“Avevo 8-9 anni e frequentavo l’oratorio, luogo magico che se non ci fosse stato non ci sarei qui stamattina. Alle 14.30 venivano chiusi i portoni e si stava lì fino alle 18.30….non poteva succedere nulla, luogo sicuro, in 280 ragazzini con un campo da calcio diviso in 30 campetti. Il sacerdote don Giancarlo era innamoratissimo del teatro, amava più Pirandello e Shakespeare di Pietro e Paolo, era spesso imbronciato ma quando realizzava lo spettacolo due volte all’anno diventava felice.

A 9 anni ci fu uno spettacolo per cui il pubblico era il paese, con 3 marziani che vedevano le bestialità degli esseri umani, servivano tre bambini: uno altissimo, uno grassissimo e uno bassissimo…la parte mi fu assegnata d’ufficio”.

Fu così che nacque la passione per il teatro, visto da Giacomo come luogo magico di una grande sacra liturgia, come un innamoramento, molto diverso a viverlo rispetto a come lo si legge sui libri.

…A Milano

A teatro, ci dice, accadono cose straordinarie e ci si trasforma, solo a teatro è possibile fare certe cose, sempre con una certa eleganza. Diventa allora una sfida col pubblico, che è chiamato ad accettare senza mediazione il gioco che dal palco è condotto a vivere. Avendo la fortuna di abitare nella Milano degli anni ’80, in un clima internazionale di sfarzo e ricchezza per l’arte, fu facile fare incontri che lo portarono dai cabaret alle discoteche (dove per nulla era facile farsi accettare, quando alle undici di sera la musica si fermava per fare posto alle performance artistiche, e spesso riceveva anche insulti, quando girava insieme a Marina Massironi, con cui aveva formato il duo “Hansel e Strüdel” nel 1984), fino ad arrivare al palcoscenico.

Milano all’epoca viveva nello splendore del teatro, fra il Teatro Ciak e il Derby Club, dove si videro nascere grandi esponenti del nuovo clima artistico italiano, da Dario Fo a Giorgio Gaber, Giorgio Faletti, Teo Teocoli, Diego Abatantuono ed Enzo Jannacci, prima dell’avvento della comicità televisiva, anni ricordati da Giacomo con una certa malinconia.

Questo il messaggio base che del teatro ci vuole portare Giacomo:

“ Stare col pubblico è da vivere. Se comico sincero e onesto il pubblico ti ascolta e ha voglia di vederti. Poi non so spiegare perché scattano certe cose e non altre (imitando qua la vocina di Aldo)”.

La nascita di Aldo, Giovanni e Giacomo

Ormai trio iconico del nostro paese, insieme dal 1991, Aldo Giovanni e Giacomo rappresentano quasi un tutt’uno, un conglomerato di comicità, tanto che non è facile immaginarli divisi. Su questo Giacomo scherza più volte, dicendo che persino quando la gente incontra per strada sua moglie Daniela, la identifica come la moglie del trio…è stato quindi inevitabile che dopo trent’anni di attività si siano voluti separare per un po’, per ritrovare una propria indipendenza, ma per la gioia dei fan Giacomo ci regala uno “scoop”:

“Non ci siamo separati!”,

facendo partire in tutta l’aula un boato di applausi. Aldo ha appena finito di girare un film in autonomia, “L’indesiderato”, per la regia di Enrico Lando; Giovanni ha scritto il libro “Niente panico, si continua a correre”, edito da Arnoldo Mondadori e di prossima pubblicazione (secondo Giacomo scritto in realtà da sua figlia, “negro scrittore occulto dietro le grandi imprese”, ci dice con ironia); Giacomo approderà a Milano al Teatro Leonardo per dieci giorni dal 15 novembre con lo spettacolo “Fare un’anima” – con una tournée partita a fine settembre.

Questione di chimica

La chimica del trio è per lo stesso Giacomo in parte inspiegabile, e l’incontro è stato fin da subito un colpo di fulmine per lui, avvenuto dopo aver abbandonato nel 1985 l’ospedale, da primario con rischio di un mezzo ictus da parte di suo padre, agli inizi della sua carriera da comico.

Così ci racconta:

“Una sera vado in questo locale di Legnano, dove erano annunciati ‘I SUGGESTIONABILI’, come sempre funzionava per 5000/6000 lire compravi una birretta e vedevi lo spettacolo…arriva uno con una chierica incredibile….emiliano-romagnolo pieno….schifo totale da far pietà….vediamo fin dove osa arrivare…mai visto uno così scarso…arriva a un certo punto vecchietto sulla sinistra (Giovanni sempre stato vecchio XD) che pareva proprio uscito dalla casa di riposo a mettere a rischio spettacolo di un povero demente….dieci minuti di contorsioni dopo aver visto diavolo- tarantola o che so io…salta in spalla a quello alto….dopo essere salito sulle spalle mette cicca nella chierica e ci infila su uno stuzzicadenti con bandierina dei coktail….ho scalato il Machu Picchu…”,

fu così che capì di aver assistito a una genialità e che avrebbe voluto lavorare con loro. Iniziando fra sketch e spettacoli di improvvisazione, portando sempre avanti una comicità costruita su canovacci (“Lo ha fatto Goldoni!”) e poche linee guida, pensavano di fermarsi al teatro.

Al cinema ci sono arrivati per caso, oscuri della macchina cinematografica, insieme al loro regista Massimo Venier, e tutto è cambiato, molto più difficile dal punto di vista attoriale, mondo più rigido e con meno libertà. Dopo quindi essere apparsi in trio sul grande schermo dal 1997 con “Tre uomini e una gamba” e per l’ultima volta nel 2016 con “Fuga da Reuma Park”, occorre solo aspettare un po’ per rivederli, sperando non tardino troppo…

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Le compagnie teatrali si possono sciogliere, ma ce ne sono tante altre, non bisogna demordere.

Le difficoltà economiche e produttive si avranno sempre ma poco importante, ci si deve divertire e amare quello che si fa. L’inglese? Da studiare, certo, ma se si va a fare architetto a Manchester si deve anche saperne di geologia e architettura delle costruzioni o non si va avanti (“Are you able to build the bridge? Yes, I speak english”)…

La lingua sarà una parte fondamentale dello spettacolo “Fare un’anima”, nato casualmente dal consiglio del parroco dopo la nascita di suo figlio, sul creare una identità di coppia più profonda dopo il parto. Sarà uno spettacolo dialogante fra la tecnologia che apparentemente ci offre tutto e ci fa vivere agiatamente – Giacomo come Aldo e Giovanni quasi per nulla usa i social networks, e non gira molto su internet in generale -, e il destino delle parole nella modernità, che se non vengono curate rischiano di scomparire nel cimitero della grammatica che si rivela essere il dizionario.

Sicuramente uno spettacolo non da perdere, molto utile per riflettere sull’oggi.

L’incontro si è concluso con la lettura ad alta voce – lettura ad alta voce è terapeutica, ci ricorda sempre Giacomo – della “Preghiera del buonumore” di San Tommaso Moro, che si può trovare a   questo link -, e vale la pena darci un’occhiata, ricordandoci sempre di iniziare ogni giornata col sorriso, nonostante le possibili difficoltà.

Prima di salutare, Giacomo ci ha regalato un selfie, non potendo fermarsi con tutti.

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