Recensione in anteprima – Venezia 75 – In Concorso – Il regista Rick Alverson è al suo quinto lungometraggio e ripropone il suo stile fortemente caratterizzato da scelte poco usuali. Il film è proiettato in 4:3 e con una lentezza d’azione che è anche funzionale al film stesso. Non è sicuramente un buon risultato e ha deluso molta critica e molto pubblico a Venezia 75. 

America, anni ’50. Andy (Tye Sheridan) è figlio di un pattinatore artistico che ha consegnato sua moglie ad una clinica per malattie mentali, impedendo al figlio qualunque contatto successivo con la madre. Quando il padre muore, Wally Fiennes (Jeff Goldblum), uno dei medici che avevano curato la madre di Andy, si presenta a casa del ragazzo e lo invita a seguirlo come fotografo e tuttofare di ospedale in ospedale, in tutti i luoghi dove Fiennes pratica la sua cura “avveniristica” della malattia mentale. Una combinazione di lobotomia ed elettroshock, praticati con strumenti rudimentali e una totale assenza di partecipazione emotiva.

The Mountain e il suo impatto visivo

“The Mountain” colpisce subito per il suo formato di proiezione. Viene proiettato in sala in formato 4:3. Un formato poco utilizzato nelle sale cinematografiche, appartiene infatti a una visione televisiva di diversi decenni fa.

La questione visiva non è soltanto relegata al formato ma anche ai colori. Tutta la pellicola è percorsa da colori tenui, quasi impalpabili e che virano violentemente al bianco anche grazie alla presenza, soprattutto nella prima parte, di ghiaccio e neve.

Inizialmente infatti, abbiamo Andy che lavora alla pista di pattinaggio su ghiaccio in una sperduta località di montagna. Nella più completa solitudine, i suoi quotidiani lavori non vengono nemmeno quasi notati. Vive col padre ma ben presto lo lascerà. Tye Sheridan dimostra una buona presenza scenica proprio in questa primissima parte.

Oltre la storia

Nonostante la trama del film sia molto semplice, il regista crea di tutto per ingarbugliarla e renderla molto più confusa inserendo relazioni tra Andy e Wally poco credibili. Non accennare alla  “Kennedy dimenticata” Rosemary Kennedy esplicitamente, ma inserirla nella storia è, evidentemente, un modo per ripararsi da eventuali polemiche.

Attraverso passaggi poco chiari la storia si svolge per un’ora e tre quarti ma che sembrano molte di più. La sceneggiatura non aiuta. Le poche volte che i passaggi vengono spiegati si assiste a spiegazioni realmente poco funzionali e confuse. Personaggi che, sebbene si prestino ad essere malati mentali, non sono comprensibili e logici almeno per quello che viene narrato.

“The Mountain” non ha convinto nessuno anche a causa di personaggi creati poco e male. Il dottore interpretato da Jeff Goldblum risulta quasi schizofrenico tra il professionista implacabile e senza scrupoli e l’irresponsabile compagno di avventure di Andy.

La finta liberazione

Nel corso della proiezione si ha un senso di claustrofobica sofferenza. E’ una sofferenza per quanto riguarda ciò che si vede, molte volte esposto in maniera cruda e senza filtri, e per lo straniamento e l’incredibile smarrimento che lo spettatore prova.

Il ritmo lento delle scene, appesantisce il film e lo rende un prodotto che ha, forse, solo delle buone intenzioni nel riportare l’attenzione sul problema delle malattie mentali e su come sono state orribilmente trattate nel corso dei decenni passati.

Il finale poi, lascia una finta, implacabile, indescrivibile liberazione.

Voto: 4,8

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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