Recensione – Il 4 maggio ha debuttato direttamente sulla piattaforma svod ideata da Reed Hastings la prima distribuzione italiana originale Netflix: la commedia nera di Antonio Morabito, “Rimetti a noi i nostri debiti”. Una produzione La luna, Lotus Production – società di Leone Film Group – con Rai Cinema, che non passerà dalle sale cinematografiche.

Guido (Claudio Santamaria) è un ex tecnico informatico che cerca di sopravvivere come può: ha un lavoro precario come magazziniere e debiti fino al collo, dall’affitto di casa, alle bollette della luce non pagate, fino ad un prestito con la banca. Quando viene licenziato in tronco e, come se non bastasse, la sera stessa subisce un’aggressione commissionata dai suoi creditori, capisce che deve dare una svolta alla sua vita. Come uscire dall’impasse, allora? Lavorare gratis per i suoi creditori fino a quando il suo debito sarà saldato, diventando lui stesso un esattore. Comincia, così, a prendere lezioni e ad essere formato dal migliore sulla piazza: Franco (Marco Giallini), esperto e affermato nel recupero crediti.

Il cuore di “Rimetti i nostri debiti”

Il cuore di “Rimetti a noi i nostri debiti”, prima esclusiva distributiva italiana per Netflix, si basa su un’idea, come dice il regista:

“nata da un articolo del Paìs intitolato il “Cobrador del frac”. Raccontava di un’usanza spagnola: gli esattori incaricati di riscuotere denaro perseguitano i clienti inseguendoli ovunque, vestiti in modi appariscenti. In Italia non si fa, ma esiste una pratica per cui, quando i grandi gruppi finanziari capiscono che non recupereranno mai le cifre dovute, possono rivendere il debito a basso prezzo a società che si occuperanno in ogni modo di ottenere lo scopo”.

Quello di Morabito – che sceglie ancora il talento di Claudio Santamaria, con cui aveva già lavorato nel suo Il venditore di medicine – è un racconto elegante e curato, ricercato e ben interpretato dai suoi protagonisti. Un sobrio e potente Santamaria e un impeccabile Giallini, che non si risparmia né sull’aspetto drammatico, né su quello tragicomico. Lo stesso regista, qui anche sceneggiatore insieme ad Amedeo Pagani (pure coproduttore), dirà, dopo aver incontrato Marco Giallini, con cui non aveva mai lavorato prima, di aver “riscritto mezzo copione per incorporare nel personaggio di Franco alcuni aspetti della sua personalità ironica”.

I debiti di Franco e Guido

Due personaggi, Franco e Guido, così diversi, ma così simili tra loro, che gli attori protagonisti sono riusciti letteralmente a cucirsi addosso: entrambi uomini soli ciascuno con le proprie debolezze.

“Non ho più nessuno”

dirà Guido – , che trascorrono spesso le loro notti insonni. Uno (Guido, riservato e solitario) a bere whiskey in un bar di periferia. L’altro (Franco, guascone e istrionico) a fumare sigarette affacciato alla finestra della sua casa borghese.

Franco, un uomo, una doppia vita: una persona sul lavoro, un’altra tra le mura di casa. Il giorno e la notte, il bianco e il nero. Spietato sul lavoro, angelico e premuroso con la sua famiglia perfetta. Al mattino fa jogging nei vialetti del cimitero, va a confessarsi in Chiesa per “liberarsi” dai sensi di colpa e poi indossa la maschera, si cala nel personaggio e va a fare il suo “sporco lavoro”.

Cinicamente e forzatamente adattatosi al “sistema” al punto da dire a Guido, che non riesce a comportarsi come lui:

“senti, tu una volta mi hai chiesto qual è la parte più dura di questo lavoro. È questa: non farsi coinvolgere.”

Morabito mette al centro della sua narrazione la tematica del recupero crediti, mutuando qualche topos della commedia all’italiana: una coppia dalla conflittuale alchimia che rispolvera l’esempio de Il sorpasso. È un mondo crudele, nero, al limite. Ai limiti della società, ai limiti della vita.

I debiti del mondo

Come emarginati sono i personaggi raccontati in “Rimetti a noi i nostri debiti”: poveracci, gente disperata che ha perso tutto, inclusa la dignità. Un mondo in cui le banche vendono i nominativi dei creditori irriducibili a società senza scrupoli.

Un mondo governato da un sistema malato, come dice lo stesso anziano Professore (interpretato da Jerzy Stuhr – che è in quota coproduzione, che è polacca ma anche svizzera e albanese – ), caro amico di Guido, all’inizio del film:

“C’è un altro sistema, che magari non ti esclude come il nostro. Chissà come si fa a stare nel sistema. Non l’ho mai capito. Non ci sono mai riuscito e non ci riuscirò mai”.

Un sistema che si basa sulla sopraffazione, sul mantenimento delle apparenze. Lo stesso Santamaria ha sottolineato che il film

“racconta cose che ho visto con i miei occhi: a Roma, sulla Nomentana alta, a volte capita di vedere uno steso per terra perché è stato preso a botte da qualcuno cui doveva dei soldi”.

Una distribuzione mondiale

È una storia dura, ma reale. Una storia che descrive bene la società attuale, i nostri tempi. Morabito la affronta direttamente, senza girarci in torno, con un tono e un taglio quasi documentaristico, con una fotografia elegante e ricercata (di Duccio Cimatti), e atmosfere a tratti oniriche e senza tempo, che ricordano un po’ “L’odore della notte” di Claudio Caligari.

Un film inteso. Un bel cast. Un’ottima opportunità di distribuzione anche per il regista stesso, che, infatti, ha affermato:

Netflix si è dimostrata subito molto convinta, fin dalla prima volta che ha visionato il film, superando quei tentennamenti che avevano mostrato i distributori cinematografici davanti ad un argomento scomodo, che ha anche una forte valenza politica. Grazie a Netflix il mio film verrà messo in onda in 190 Paesi e tradotto in 22 lingue: nessun distributore tradizionale avrebbe potuto garantire altrettanto”.

Quindi, un film che non ha trovato una distribuzione classica, ma che ha catalizzato l’attenzione di un colosso internazionale come Netflix.

Come non essere contenti per questo esordio italiano?

Voto: 7

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