Recensione – Candidato a quattro premi Oscar tra cui miglior film e miglior attore protagonista, Chiamami col tuo nome è l’intensa storia, straordinariamente scritta e interpretata, della scoperta dell’amore, del desiderio e della vita da parte del diciassettenne Elio grazie all’incontro col più maturo Oliver. Luca Guadagnino realizza un’opera toccante per la profondità dello sguardo e la sensibilità della narrazione, che ne fanno un racconto sincero, estremamente realistico e per questo universale.

“Da qualche parte in nord Italia, estate 1983”. Ogni anno il professor Perlman (Michael Stuhlbarg), luminare dell’archeologia americano di origini ebraiche, insieme alla moglie Annella (Amira Casar), accoglie nella sua villa in campagna un dottorando con cui condurre ricerche per sei settimane. L’arrivo di Oliver (Armie Hammer), lo studente ventiquattrenne di turno, sconvolgerà Elio (Timothée Chalamet), il figlio diciassettenne del padrone di casa, facendogli scoprire l’amore, il desiderio, la vita e la perdita. In quella manciata di giorni d’estate, le esistenze di Elio e Oliver cambieranno per sempre.

Concludendo la “trilogia del desiderio” inaugurata da “Io sono l’amore” e proseguita con A Bigger Splash”, con “Chiamami col tuo nome” Luca Guadagnino ricrea un’esperienza sensoriale – omaggiando Bertolucci e Rohmer– che passa attraverso ogni singolo espediente cinematografico. Su tutti, la splendida fotografia di Sayombhu Mukdeeprom, la sceneggiatura non originale (candidata all’Oscar) di James Ivory dal romanzo omonimo di André Aciman, la colonna sonora (anch’essa candidata alla statuetta) composta da Sufjan Stevens e l’intensità degli interpreti.

Tutto concorre a dipingere un microcosmo popolato da una famiglia ideale. Un’enclave “ebrea, americana, francese e italiana” aperta, colta, poliglotta, affettuosa fra i suoi membri e generosa verso i numerosi amici, che abita una campagna inondata di sole e pervasa di natura sensuale; i problemi al di fuori (l’Italia e la sua politica) sembrano non riguardarli, al massimo stupirli o toccarli solo di striscio. La quiete della placida provincia cremasca con le sue piazze vuote, i frutteti, le strade di campagna lungo il fiume non sono semplice scenografia per quello che il regista stesso ha definito un “idillio” (che letteralmente, prima di essere una breve poesia, è proprio una “piccola immagine”) ma contribuiscono con ogni singolo dettaglio a definirne la sostanza.

La maestria di Guadagnino, ciò che fa di questo film molto più di una storia d’amore e desiderio esteticamente affascinante, sta nella sua capacità di dare sostanza incandescente a queste immagini, un corpo solido e fragile allo stesso tempo, come quello delle statue greche che costellano il film caricandosi ogni volta di significato. L’arte, la cultura in tutte le sue forme (scultura, letteratura, musica), la bellezza sono onnipresenti nella storia, fungendo da transfert per i protagonisti e facendosi veicolo di sentimenti personali, mediando gli sguardi, le parole, il non detto, il mostrato, il nascosto.

Il film è allora la lenta istantanea di un’estate in cui una rivelazione travolgente permetterà a Elio, giovanissimo ma affascinante, brillante, colto (“Is there anything you don’t know?” gli chiede a un certo punto Oliver), di scoprirsi, di conoscersi, di rischiare – cioè, di vivere- e a Oliver, meravigliosa scultura piena di vita, ammiccante e sfrontata, che finge indolenza col suo “Later!” ma nasconde fragilità, di innamorarsi totalmente, appassionatamente, ricambiato. Sarà la lettura di un romanzo cavalleresco (la cultura, di nuovo) a convincere Elio a dichiararsi: parlare o morire? Parlare e morire. Perché quando Elio decide di parlare – ammettendo di non sapere niente, “niente di importante”- non sarà più lo stesso. “Because I wanted you to know”: concretizza così il suo sentimento scovato per caso e poi covato con paura, gelosia e stupore per settimane, e allora si consegna materia informe da plasmare nelle mani di Oliver, che da opera d’arte da ammirare diventa lui stesso artista e artigiano.

Dopo questo incontro, Elio scoprirà di avere un altro nome e altri occhi per vedere il mondo (“Oh, to see without my eyes / The first time that you kissed me” canta Sufjan Stevens in Mystery of love) e anche Oliver “conobbe lui e se stesso, perché pur essendosi saputo sempre, mai s’era potuto riconoscere così”. “Chiamami col tuo nome” è il racconto di una nascita e insieme, paradossalmente, di una morte, di un venire al mondo vissuto più fortemente perché legato a un momento della vita in cui tutto è più intenso, della scoperta di sé attraverso il riflesso nell’altro e dell’immancabile fine che seguirà. Ma Luca Guadagnino racconta qualcosa di più di una storia di formazione, dirige un’ode all’empatia: con uno sconosciuto che irrompe nella nostra vita, con chi ci è accanto da sempre, con tutto ciò che ci circonda. E con lo spettatore: realizza infatti un’opera toccante per la profondità dello sguardo e la sensibilità della narrazione, che ne fanno un racconto sincero, estremamente realistico e per questo universale.

La straordinaria prova attoriale degli interpreti trascina lo spettatore nel vortice crescente dei loro sentimenti e del loro irresistibile desiderio: dai pomeriggi intorpiditi trascorsi a leggere, ai balli notturni, alle gite in bicicletta, ai bagni al fiume, alle notti senza sonno, alle attese, quella che poteva sembrare la routine di un amore estivo si rivela ben presto essere l’amore di una vita. Non c’è pace negli occhi di Elio/Timothée Chalamet dopo aver incontrato quelli di Oliver; non c’è tregua nella mente di Oliver/Armie Hammer dopo aver scoperto Elio. I loro corpi si uniscono con una sensualità prima timida e poi impetuosa. Il cambiamento, la crescita, la trasformazione li investono e non li abbandonano neanche quando la realtà chiama e loro non possono non rispondere. Partire e morire, ancora. Ma se chi parte soffre meno di chi resta, significativa oltre ogni gesto sarà la frase –lapidaria e insieme piena di speranza – di Oliver, ormai lontano e con altri progetti di vita, tempo dopo quell’estate:

I remember everything”.

Allora quell’idillio così potente non è stato un sogno (“Is it a video?”), quel microcosmo ideale (e possibile) esiste davvero, anche se adesso il caminetto è acceso e non ci sono più pesche sui rami. Un finale intenso e toccante, sconvolgente come i ricordi di Elio nella loro consapevolezza di aver vissuto qualcosa di così unico che non si ripeterà mai più, ma che sembra ancora dire:

“Ascolta come mi batte forte il tuo cuore”.

Voto: 9

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