Recensione in anteprima – Presentato in première, con tanto di “black and white carpet” nella splendida cornice déco del cinema Odeon di Milano alla presenza degli interpreti e del regista, The Post è l’ultima fatica di Steven Spielberg impreziosita da Meryl Streep e Tom Hanks nel ruolo dei protagonisti. Al cinema dal 1° febbraio.

“The Post” è un film sulla lotta per il diritto alla libertà: libertà di informare, di essere informati, di coscienza e di opinione a costo di andare contro il potere costituito, ma anche libertà di essere donna a testa alta in un mondo dominato dagli uomini. Un’opera dalla forte carica idealistica diretta con assoluta maestria, candidata come miglior film e miglior interpretazione femminile agli Oscar 2018.

Nel 1969 Daniel Ellsberg (Matthew Rhys), economista nello staff del segretario di Stato Robert McNamara, è in Vietnam durante la guerra come analista e “osservatore”: qui si accorge ben presto che quel sanguinoso conflitto è inutile, gli Stati Uniti non riusciranno a uscirne vincitori come il governo continua ad affermare negli anni con il succedersi delle amministrazioni. Fa rapporto e mette tutto per iscritto in settemila pagine di dossier che il Pentagono, però, classifica come documenti top secret impedendone quindi la diffusione. Ellsberg, con l’aiuto di persone fidate, li trafuga dal ministero della difesa e nel 1971 li fa avere al New York Times che però, sul punto di pubblicarli, viene bloccato dalla Corte Suprema. Il determinato direttore del Washington Post Ben Bradlee (Tom Hanks) si mobilita allora per averli e divulgarli, mettendo di fatto Katharine Graham (Meryl Streep), editrice del giornale, di fronte all’impegnativa e sconcertante scelta di sfidare o meno buona parte dell’establishment americano allora guidato dal presidente Nixon.

Steven Spielberg lo ha definito a più riprese un film “urgente e necessario” (tanto da interrompere le riprese di un altro già in lavorazione, The Kidnapping of Edgardo Mortara) senza mai nascondere l’evidente riferimento a quella da lui definita “l’attuale amministrazione” americana e agli spiacevoli episodi collezionati dal presidente Trump in materia di rapporti con la stampa e con le donne. “The Post”, preciso e attento al dettaglio in ogni inquadratura, inizia come un film di guerra nell’”inferno del Vietnam” procedendo poi sul binario del giornalismo d’inchiesta che, a modo suo, è un altro modo di combattere e in cui (siamo negli anni Settanta) si usa il telefono come un’arma.

La usa il Presidente che minaccia ogni possibile abuso di potere; la usano le ricercate fonti di preziose informazioni in fuga da un nascondiglio all’altro; la usano i finanziatori del Post per fare pressione psicologica su una straordinaria Meryl Streep/ Katharine (Kay) Graham e per impedirle di acconsentire alla pubblicazione del dossier. La scena di maggior tensione avviene proprio durante la telefonata che deciderà le sorti del Post e dei Pentagon Papers. “Il terrore corre sul filo” e negli occhi di Meryl Streep, sola e contemporaneamente assediata, dominata dalla macchina da presa e dagli uomini che da sempre sono stati consulenti del giornale quando gli editori erano altri uomini (il padre della Graham prima, il marito poi) e non hanno mai ritenuto che una donna fosse all’altezza di starvi alla guida.

Sarà proprio questa l’occasione del riscatto, grazie a una ritrovata forza e al consiglio di un altro uomo, quel tenace, coraggioso, fin troppo ostinato Ben Bradlee interpretato da un Tom Hanks dall’energia rude e strabordante. In ogni singola inquadratura di “The Post” si vede tutta la maestria registica di Spielberg (e del suo storico montatore Michael Kahn) messa al servizio della causa del film, sostenendo la lotta per il diritto alla libertà in tutte le sue forme.

Dopo una prima parte che getta lentamente le basi per ricostruire e chiarire la genesi della vicenda giornalistica divenuta questione di Stato, il film segna un crescendo di tensione che abbraccia i dettagli, gli oggetti, gli spazi, gli sguardi dei protagonisti. Questo permette a Spielberg di ricreare dinamiche e situazioni che ogni volta si caricano di una forte valenza simbolica: tutto ciò che si vede – o che non si vede – è minuziosamente calibrato e gli interni, in particolare, racchiudono, separano, uniscono, incorniciano o riflettono i protagonisti che li abitano. Così l’appartamento di Bradlee, curato con dedizione dall’amorevole moglie Tony (Sarah Paulson), viene improvvisamente invaso dalle innumerevoli pagine del dossier; mentre le sontuose stanze della magione della Graham, dalla raffinatezza impeccabile, vengono solitamente aperte solo a una ristretta cerchia di amici (?) finché, durante un party, l’ospite inatteso arriva a sconvolgerne la quiete forse un po’ posticcia.

At last but not at least, “The Post” è un film su una donna, Kay Graham, che si riscopre più valida e più forte di quanto credesse, vissuta sempre nella convinzione, alimentata dalla sua corte di consiglieri (uomini), di un padre e di un marito inarrivabili. Dall’inadeguatezza all’autorevolezza, seguiamo Katharine Graham/Meryl Streep nella sua evoluzione da potiche esitante e di rappresentanza a donna dal potere decisionale conquistato e riconosciuto sacrificando amicizie, a costo di rischiare non solo il futuro del giornale (“un’azienda di famiglia”) ma anche, e soprattutto, la propria libertà. Meryl Streep rende con grande intensità la parabola di una donna che si afferma dando nuovo spessore al posto che le era stato assegnato essendo semplicemente se stessa. Toccante e impagabile il finale in cui l’editrice è finalmente uscita dalla sua gabbia dorata e, nella tipografia del quotidiano, cammina sorpresa come una bambina con il direttore del Washington Post tra le rotative che stampano le nuove edizioni sui Pentagon Papers esclamando: “Bellissimo…”. La stupefacente liberazione di una donna e del suo giornale.

Voto: 8

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