Recensione in anteprima – Venezia 74 – In concorso – A quattro anni dal trionfo a Cannes con “La vita di Adele” Abdellatif Kechiche propone al cinema “Mektoub, my love Canto Uno”, un flusso di vita giovanile che forse indugia troppo su alcuni aspetti carnali ma offre una visione articolata delle relazioni.

Amin, un aspirante sceneggiatore che vive a Parigi, ritorna per l’estate nella sua città natale, una comunità di pescatori del sud della Francia. Occasione per ritrovare la famiglia e gli amici d’infanzia. Accompagnato da suo cugino Tony e dalla sua migliore amica Ophelie, Amin passa il suo tempo tra il ristorante di specialità tunisine dei suoi genitori, e i bar del quartiere e la spiaggia frequentata dalle ragazze in vacanza. Incantato dalle numerose gure femminili che lo circondano, Amin resta soggiogato da queste sirene estive, all’opposto del suo cugino dionisiaco che si getta nell’euforia dei corpi. Munito della sua macchina fotogra ca e guidato dalla luce eclatante della costa Mediterranea, Amin porta avanti la sua ricerca loso ca lanciandosi nella scrittura delle sue sceneggiature. Ma quando arriva il tempo dell’amore, solo il destino, solo il mektoub può decidere.

“Dio dà luce a chi vuole lui”

Siamo nel 1994 e con questa citazione dal Corano in sovraimpressione inizia il nuovo film di Abdellatif Kechiche, il sesto della sua carriera da regista. Dei cinque precedenti solo uno non é stato acclamato da critica e pubblico vincendo diversi premi. Dopo “La vita di Adele” del 2013 che ha vinto a Cannes, il regista francese di origine tunisina si cimenta di nuovo in un festival con un’opera che divide il pubblico in sala come solo un film di Aronofsky sa fare.

Come nella vita, le luci, le ombre, le sensazioni, le emozioni fluiscono per tutta la durata di questo film. 180 minuti che spaventano ben prima dell’inizio della proiezione e che possono lasciare basiti e interdetti se non visti con uno spirito di condivisione delle esperienze che vengono descritte.

E’ un abbandono quello che Abdellatif Kechiche chiede al proprio pubblico. In perfetta sincronia con i personaggi della storia lo spettatore é letteralmente coinvolto come persona aggiunta ai dialoghi, alle ballate, alle emozioni che nascono, muoiono, riprendono, si evolvono, vengono abbandonate e riprese.

Partecipiamo al lungo dialogo iniziale tra Amin e Ophelie, la sua miglior amica. Ci sentiamo silenziosi coprotagonisti delle avances in spiaggia di Amin e Tony suo cugino. Veniamo invitati a cena, al pub, in discoteca con parenti, e soprattutto con il gruppo di amici con i quali ci sentiamo vicini nei giochi giocosi in spiaggia e in mezzo al mare. Ci coalizziamo con Amin, condividiamo il segreto di Ophelie, proviamo empatia per Charlotte, capiamo la stravaganza di Cecile, tutto questo in un flusso continuo come fosse la vita che scorre, impossibile da fermare.

Non accade nulla di straordinario in questo film. “Mektoub, my love Canto Uno” é una pellicola che descrive in maniera dilatata la quotidinità delle vacanze al mare di un gruppo di giovani. E’ una “grande bellezza” giovanile, un “inno alla vita” come lo stesso regista ha voluto indicare in conferenza stampa. E’ una vita fatta di dialoghi, senza colpi di scena eclatanti perché la vita non ne presenta in tre ore o in pochi giorni. Anche se i dialoghi, a una lettura superficiale potrebbero apparire lunghi e ripetitivi anche in scene diverse, si incastrano magnificamente in questo flusso dove le confidenze, i pettegolezzi, le rimostranze, le paure si ripresentano e ci si confida, si parla anche con lo stesso amico sempre di quanto di preoccupa di più anche più volte.

Lo spettatore può innamorarsi di Ophelie, Cecile (la bellissima Lou Luttiau), Charlotte, Tony, Amin, persino dello zio, invadente e divertente. Tutti sprizzano gioia di vivere e voglia di stare insieme. Tutti appaiono soli come solo sembra, più di tutti Amin che partecipa a questo continuo innamorarsi e disinnamorarsi, usarsi e impegnarsi, cercarsi e fuggire ma il suo cuore d’artista sembra rivolto a una sensibilità maggiore, a qualcosa di più concreto. E’ ancora presto, forse nei prossimi capitoli sapremo come la storia evolve da spassoso flusso vacanziero con feste senza soluzione di continuità a qualcosa di diverso. E’ stato registrato già il “Canto Due” e, secondo le intenzioni del regista, tra qualche mese verrà registrato il conclusivo “Canto Tre”.

Se si possono imputare al film dei difetti, sicuramente si può evidenziare qualche scena eccessivamente lunga ma le tre ore non si sentono se non nella parte finale dove, appunto vi é una scena in discoteca eccessivamente prolissa e che non aggiunge granché all’economia del film.  “Mektoub, my love Canto Uno” é un film molto carnale, dove, anche a causa della stagione estiva, la pelle nuda é messa molto in evidenza anche se spesso é ristretta in vestiti succinti e in costumi molto ridotti che non lasciano spazio alla fantasia complice l’indugiare non gratuito su primi piani di parti anatomiche maschili e soprattutto femminili.

Il finale aperto si ricollega al titolo, in tre lingue diverse per tutti i paesi tranne chi adotterà il titolo totalmente inglese. Un dettaglio, nemmeno troppo svelato ma che da’ l’idea della multilateralità e della molteplice provenienza dei personaggi: abbiamo francesi, i protagonisti Amin e Tony hanno radici tunisine, si conoscono nelle feste spagnoli, russe e quant’altro. Metktoub in arabo indica “il fato, il destino”, il destino del “my love” che può declinarsi e incarnarsi in diversi canti.

Mektoub, my love Canto Uno” é film che divide, é film che può essere apprezzato appieno se si aderisce al patto non scritto col regista di mettersi in gioco e cantare, ballare insieme a cotanta voglia di vivere.

Voto: 7,7

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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