Recensione in anteprima – Venezia 74 – Orizzonti – Dramma familiare, racconto dell’elaborazione di un lutto, storia di una guerra personale e particolare. Premesse molto interessanti per un’opera asciutta ed efficace ma forse non del tutto all’altezza delle sue ambizioni.

Arnold Stein non trova pace. Da quando il figlio è partito per il fronte, arruolandosi come volontario, ha perso tutto. Invano lui e la moglie Karen hanno tentato di dissuadere Chris dall’andare a combattere una guerra che con la Germania non ha niente a che fare. Il giovane è partito lasciando i genitori e la fidanzata Sandra a doversi confrontare con un dramma che squarcia con violenza la zona di comfort da dove percepivano il confitto. La notizia della sua morte, poi, trascina Karen in un infausto vortice di alcol e depressione. Arnold decide allora di lasciare il lavoro d’insegnante e trasferirsi in un rifugio isolato tra le montagne, con l’unica compagnia del suo cane. Una vita da recluso che rifugge il dolore e la ruvidezza del mondo sarà per lui occasione per diventare uomo d’azione. Un’altra guerra lo attende, una guerra silenziosa, senza esclusione di colpi, contro uno sconosciuto deciso a sfidarlo.

Secondo lungometraggio per il regista tedesco Rick Ostermann, che traspone l’omonimo romanzo di Jochen Rausch e realizza un particolare film di guerra in cui la guerra non si vede mai. Il particolare percorso di elaborazione del lutto del protagonista Arnold, da intellettuale pacifista a guerriero, da uno stato di passività e remissività a una condizione di estrema determinazione nel difendere ciò che è suo, è ben costruito attraverso un’alternanza tra passato e presente, ed è brillantemente reso dall’ottima interpretazione di Ulrich Matthews, capace di trasmettere ogni sfumatura del suo personaggio e di essere convincente sia nelle vesti di tranquillo professore che in quelle di risoluto combattente.

Il film diviene così un apologo sull’insensatezza della guerra, che finisce per distruggere le vite anche di chi non vi prende parte direttamente. Peccato per qualche eccesso di didascalismo – la scena della comunicazione della morte di Chris ai genitori, per quanto d’impatto, è abbastanza inutile ai fini della narrazione, dal momento che spiega qualcosa che sappiamo già – e soprattutto per la mancanza di un guizzo, di un colpo di coda che dia una scossa al racconto: la parte finale è infatti piuttosto piatta, non all’altezza delle premesse. Rimane comunque una confezione impeccabile, impreziosita da una regia asciutta ed efficace e soprattutto da un’eccellente fotografia capace di ritrarre sontuosamente i magnifici paesaggi innevati.

Voto: 6,3

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